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Il tecnico "normal one" nella squadra più pazza

Pioli è molto preparato ma ha poco carisma. Ritroverebbe Candreva con cui si lasciò male

Il tecnico "normal one" nella squadra più pazza

Si può dire che il suo pregio è, al tempo stesso, il suo difetto: se Stefano Pioli riuscirà a sedersi sulla panchina dell'Inter sarà per merito della sua rassicurante normalità, mentre se alla fine sarà scartato dipenderà dal fatto che forse è un po' troppo normale per la squadra più «pazza» del calcio italiano.

Cinquantuno anni, un discreto passato da giocatore (fece anche tre anni alla Juve), Pioli esordì su una panchina di A nel 2006 assumendo la guida del Parma, la città dove è nato e cresciuto. Da allora ha cambiato altre 7 squadre in 9 anni con alterne fortune: bene col Sassuolo e col Chievo, due mesi folli a Palermo dove Zamparini lo esonerò prima dell'inizio del campionato, quindi il rilancio prima a Bologna e poi alla Lazio. Il biennio romano per ora rappresenta il punto più alto della sua carriera: rivitalizzò una squadra depressa regalando a Lotito la stagione più emozionante della sua presidenza, ma dopo averla conclusa restando a mani vuote sfasciò il giocattolo e il secondo anno fu una mezza agonia.

Pioli non ha il carisma dei leader nati ma sa farsi seguire perché è preparato, sa adattarsi ai suoi giocatori (in carriera ha usato quasi tutti i moduli, dall'amato 4-3-3 a quelli col trequartista senza disdegnare la difesa a tre) e con il suo carattere mite sa rassicurarli. Alla Lazio li convinse perfino a cantare l'inno prima degli allenamenti, come un gran mogol con le sue giovani marmotte. È un'immagine che dice molto dell'uomo e della sua purezza d'animo. Il rovescio della medaglia è che a uno così manca un po' di killer instinct, e infatti quando si trattò di raccogliere dopo aver seminato Pioli perse nel giro di tre mesi la finale di Coppa Italia, il derby con la Roma che valeva il secondo posto, la Supercoppa con la Juve e i preliminari di Champions col Bayer Leverkusen.

E poi fece l'errore di non dare la fascia di capitano a Candreva preferendogli Biglia, uno sgarbo che l'attuale interista non gli ha ancora perdonato. Poco più di un mese fa, intervistato da una radio romana, Candreva ha detto: «Non ho mai nascosto di esserci rimasto male, pensavo di meritare la fascia e per questo rifiutai il ruolo di vicecapitano. Magari non è stata una scelta solo sua, però da lì in poi non sono stato più lo stesso, ero diventato moscio». Chissà se adesso sarebbe contento di ritrovarlo

Ovviamente sarebbe felice il buon Stefano, che dopo l'esonero del 3 aprile ha visto sfumare la panchina della Sampdoria (Ferrero gli ha preferito Giampaolo) ed è stato accostato alla Fiorentina quando sembrava che Paulo Sousa fosse in bilico. L'Inter sarebbe l'occasione della vita, però bisogna capire cosa cercano i nerazzurri.

Molto probabilmente Pioli saprebbe «fare bene» - come si dice sempre nel calcio - ma in prospettiva fare bene non basta: se alleni l'Inter devi provare a vincere.

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