I raffinati conoscitori di calcio l'hanno capito subito. Appena Gonzalo Higuain ha sbavato una, due, tre palle smarrendo per strada qualche stop elementare e perdendo i primi duelli, è venuto in soccorso del cronista il consiglio di Rino Gattuso, enunciato il giorno prima a Milanello. «Non dev'essere nervoso» la frase secca. Si può capire bene la grande tensione dio Higuain. È da luglio che stava aspettando il giorno di ritrovare la Juve, a San Siro poi. Dev'essere per questo motivo che una settimana prima, a Udine, appena ha sentito la fitta alla schiena, si è seduto sull'erba umida e ha chiesto di uscire. Non voleva correre rischi. E per una settimana, in silenzio, ha atteso prima che il dolore passasse, poi che i controlli confermassero la modestia dell'acciacco al fianco e infine si è preparato per il giorno del giudizio universale.
Lui da una parte e la Juve dall'altra per un regolamento di conti che valeva molto più del duello rusticano con CR7. Nemmeno se l'è filato il portoghese, troppo importante il suo contenzioso con Allegri e la compagnia bianconera di una volta. Perciò quando Mazzoleni, soccorso dal Var, ha puntato sul dischetto, ha deciso, da solo, che era venuto il suo momento. Doveva solo premere il grilletto e fare gol. Già, doveva. Ha preso il pallone sotto braccio, come per dire: è mio e guai a chi me lo tocca, lasciando di stucco Kessié, lo specialista delegato dallo staff tecnico. Nemmeno in panchina, Gattuso ha fatto un qualche cenno per opporsi al golpe dell'argentino.
È stato allora che Szczesny, ironicamente appellato codice fiscale dai suoi tifosi imbufaliti dopo il Manchester, gli ha preso le misure ricordando che l'ex compagno sbaglia un rigore ogni tre, dopodiché gli ha letto nel pensiero. Higuain ha tirato forte, di piatto, nell'angolo sinistro dove la manona del polacco è arrivata per la deviazione decisiva sul palo. In quel momento Higuain ha cominciato a fare i conti col proprio egoismo e tutto il Milan si è sentito tradito proprio dall'uomo che immaginava protagonista della rivincita. Ai curvaioli rossoneri è rimasto solo lo striscione velenoso su Bonucci («sei peggio di Schettino»), nemmeno una parola, un fischio, una disapprovazione su quel maldestro tentativo di riparare al torto subito pensando solo a sé stesso e non al Milan, alla squadra che aveva bisogno di rimettere il viso sopra il pelo dell'acqua. La crisi di pianto e isterica che lo ha guidato fino alla giusta espulsione per doppio giallo è diventato l'epilogo a una serata da dimenticare. La più attesa della sua vita da milanista. È vero, CR7, dall'altra parte ha assistito quasi disinteressato alla piccola tragedia umana di Higuain pensando ai suoi affari e ai suoi numeri che sono già, prima di cominciare, tutti più brillanti e generosi di quelli dell'argentino triste e solitario. Ronaldo si è deliziato con qualche numero a effetto, ha lasciato che fosse Mandzukic a raccogliere la gloria sull'arcobaleno di Alex Sandro. Non si è certo indispettito o ingelosito.
No, ha tirato dritto per la sua strada, che è poi quella della Juve nell'attesa che maturasse l'occasione giusta per chiudere la serata col suo marchio di fabbrica. E forse è tutta qui la differenza scandita dall'incontro tra i due.
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