Diceva un arguto inglese che siamo tutti in un fosso, ma alcuni di noi guardano le stelle. Deve essere questo lo stato d'animo di tutti quelli che salgono su un aereo per andare verso le Olimpiadi del silenzio che si apriranno a Tokio il 23 luglio con una cerimonia riservata soltanto a 1000 privilegiati e agli atleti che sfileranno nello stadio vuoto.
Era già accaduto, ma questa volta non è stata una guerra feroce come quella che portò i Giochi Olimpici, finto simbolo di pace, nella Londra del 1948, quando nella sfilata la squadra italiana venne accolta, più o meno, come la nazionale di calcio che a Wembley ha costretto gli inglesi alla resa dopo i rigori, un'atmosfera ostile per gli ex alleati della Germania.
Questa volta, in Giappone, dove i Giochi ci sono già stati nel 1964, dove furono cancellati nel 1940 per la guerra come quelli di Roma nel 1944 dove tornò il grande sole nel 1960 di Berruti, l'ostilità sarà per tutti perché i giapponesi non la volevano proprio questa festa della gioventù mondiale, contenti di averla rinviata di un anno, fatto mai accaduto prima, infelici oggi più di ieri perché chi aveva venduto tutto alle televisioni, alla pubblicità, non ha voluto fermarsi anche se tutti sappiamo che nel villaggio degli atleti sarà quasi proibito sfiorarsi, anche se saremo costretti a tifare per i nostri campioni che correranno e si batteranno nel silenzio. Giudicati, misurati, ma senza il conforto di un applauso.
Doveva essere così anche nel 1948 a Londra, dopo aver rivisto accendersi la fiamma olimpica, che le bombe avevano spento nel 1940 e nel 1944. In quella festa reinventata l'Italia dello sport rimessa in piedi dalle intuizioni geniali di Giulio Onesti, dimostrò davvero di essere un paese risorto anche se al nostro Inno nessuno si alzava in piedi. Erano i giorni del settebello di Cesare Rubini nella pallanuoto, della doppietta nella pedana del disco della splendida coppia Consolini, pure primatista del mondo, e Beppone Tosi, le giornate dove Ottavio Missoni, principe di Ragusa, incontrava Rosita Jelmini di Golasecca, dinastia per scialli e tessuti con cui poi portò nel mondo un marchio che ancora oggi è simbolo di fantasia, eleganza, e correva la finale dei 400 ostacoli dopo anni di prigionia nei campi inglesi per la disfatta di El Alamein, sentendosi dire dal padre, uomo di mare, che comunque era arrivato ultimo nella finale a sei. I giorni in cui vincemmo davvero tanto, 8 ori, 11 argenti, 8 bronzi, con i nostri campioni ritrovati nella boxe, nella lotta, col canottaggio, i ciclisti e la grande squadra di scherma.
Come allora la spedizione italiana, un record di partecipazioni, camminerà fra gente che non li vuole vedere, né gli italiani, né tutti gli altri che in questi due anni infernali, fra varianti crudeli, hanno cercato di allenarsi lo stesso. Nelle 339 prove che daranno le medaglie a Tokyo dove vedremo anche 5 nuovi sport mai ammessi prima ai Giochi, tiferemo da lontano, sognando le stelle, ma domandandoci come andrà a finire questa festa che porta in campo, negli stadi vuoti, fra mascherine che nascondono tutto, 205 nazioni e ben 11mila atleti.
Alla partenza tutti felici, ma poi, all'arrivo nell'aeroporto di Tokyo, la scoperta di essere trattati peggio della fiamma olimpica che ha girato per il Giappone fra gente che la malediceva. Tutti quelli che da bambini sognavano questa festa, l'esercito della pace che pensava al villaggio degli atleti, alle gare, come una grande occasione per abbracciare, conoscere, campioni di altri sport si sentirà invasore in una terra dove il terrore della pandemia li farà vivere come alieni in un mondo che sembra sconvolto. Alluvioni, incendi, dalla Germania alla California, la natura che si ribella allo scempio dell'uomo.
Faremo fatica a festeggiare anche se dovessimo vincere le 33 medaglie previste, pur ammettendo che ci emozioneremo lo stesso al momento della sfilata nel vuoto, nel silenzio, quando la bandiera italiana, per la prima volta, sarà portata da una lei, la tiratrice Jessica Rossi, e da un lui, il ciclista Viviani. Abbiamo squadre che potrebbero darci una gioia come quella di Wembley, dalla pallavolo, uomini e donne, alla pallanuoto, sperando che il miracolo del basket, dopo la qualificazione a Belgrado contro la favoritissima Serbia, non finisca nel girone di ferro contro Germania, Nigeria e Australia.
Ci accontenteremo di applaudire le nostre campionesse e i nostri uomini da medaglia al ritorno, ma sarà comunque una Olimpiade per fantasmi. Non ci saranno macerie intorno come a Londra, non ci saranno vuoti come nei Giochi del boicottaggio, iniziati a Montreal con la protesta africana nel 1976 contro il razzismo sudafricano, diventati vera guerra fredda a Mosca 1980 e Los Angeles 1984, però faremo davvero fatica a trovare i canali giusti per vivere come sognavamo dal 23 luglio all'8 agosto.
Colpa nostra, colpa di tutti. Olimpiade senza applausi, con i campioni che dovranno prendersi da soli la medaglia per cui hanno lavorato così duramente. Olimpiade triste? Ci ribelliamo all'idea.
Anche se mascherati, anche se trattati come untori dal Paese che li ospita, questi campioni che attraverseranno la tragedia, saranno per sempre il simbolo di chi ha cercato di ribellarsi all'epidemia, sognando che la quinta Olimpiade della Pellegrini, i Giochi per un'Italia mai così numerosa ai Giochi rinati per la visione di de Coubertin, siano come quelli di Londra. Una sorpresa per il mondo in lacrime.
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