Valentino & Lewis. Ecco come la MotoGp ha umiliato la F1

Domani per Rossi ed Hamilton primo match point iridato: ma se nelle moto è show in pista e fuori, nelle auto è noia. Jorge attacca Vale: "Poco intelligente"

Valentino & Lewis. Ecco come la MotoGp ha umiliato la F1

Il finale potrà pure essere in contemporanea e anche identico perché laurea due campioni del mondo. Ma la storia che hanno raccontato macchine e moto non può essere minimamente confrontata. Tanto è stata la Formula 1 piatta, noiosa, se non in qualche gran premio colorato di rosso, quanto la MotoGP è stata continuamente ribaltata, sempre in equilibrio, emozionante fino all'apoteosi del Gran premio di Australia, che entra nel ristretto giro delle gare più belle degli ultimi dieci anni. Quindi dove è riuscito Carmelo Ezpeleta, patron della Dorna, ha fallito Bernie Ecclestone, boss del circus. Due abili a giocare con le gomme, la cui scelta è stata spesso determinante in ogni weekend. Anche se in F1 il fattore pneumatico è stato molto più evidente.

Solo una cosa condividono davvero due e quattro ruote: la lotta fratricida per il titolo, sotto il tetto dello stesso box. Rossi e Lorenzo da una parte, Hamilton e Rosberg dall'altra, anche se la classifica della F1 dice che è Vettel il primo avversario dell'inglese. Ma se la Yamaha non ha comunque demolito la concorrenza, con Honda e Ducati comunque competitive, la Mercedes fin dai primi giri della stagione aveva fatto intendere che i due mondiali, piloti e costruttori, sarebbero stati ancora una volta affare suo. La Ferrari ha ridotto notevolmente il gap, ma solo le “sbandate” e la sfortuna di Rosberg hanno fatto sì che Vettel diventasse la seconda forza.

Anche i protagonisti hanno avuto le loro responsabilità nello spettacolo: scontati i driver delle monoposto, mai banali i centauri. Prendete le ultime due vigilie. Rossi sbarca in Malesia e attacca frontalmente Marquez: «Mi vuole far perdere il Mondiale, è un nuovo fan di Lorenzo»; e Marc ribatte «ma se ho superato Jorge e vinto la gara»; e Lorenzo aggiunge «parla così perché non si sente veloce, quella di Valentino è una strategia dettata dalla paura, cerca di influenzare gli altri piloti ma stavolta non ha agito in modo intelligente». E, su tutto, Vale che dà del falso a Marquez: «Ma quale io idolo di Marc, meglio Biaggi, almeno il rapporto era chiaro». Dall'altra parte del mondo, in Texas, ad Austin, va in onda la fiera dell'ovvio. Lewis dice: «Non mi interessa quando vinco il titolo, non faccio calcoli, conta solo che ci riesca». Su una cosa mette tutti d'accordo: «La F1 deve cambiare e attrarre più spettatori».

L'arte del comunicare appartiene a Rossi non a Hamilton. Due fenomeni che usano la stessa strategia psicologica per battere i rivali prima ancora di scendere in pista. Due che sono a un passo dal chiudere i conti con la propria storia. Rossi insegue quel decimo titolo che sarebbe la risposta a quelli che l'hanno dato per finito già da qualche stagione, un vecchietto incapace di reggere il confronto con le nuove generazioni dei Marquez. Il Mondiale sarebbe anche una forma di riscatto per quell'unico vero grande fallimento della sua carriera: il biennio in Ducati. Una macchia che solo un mondiale può cancellare. Hamilton invece ha ormai in tasca il terzo titolo, secondo di fila, che gli permetterebbe di raggiungere il suo grande idolo: Senna. Lui sì che aveva in camera i poster del fuoriclasse brasiliano, mentre Marquez ha dovuto ingoiare anche i dubbi di Rossi sul fatto che lo spagnolo «avesse sue foto vicino al letto».

Le parole di Valentino, Lorenzo permettendo, e i conti di Lewis portano al mondiale. Due fenomeni che vogliono chiudere in fretta per festeggiare in contemporanea due titoli dal sapore completamente diverso: sorprendente per Rossi, pronosticato per Hamilton.

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