Vendrame, quello che... "segnare interrompe l'emozione del calcio"

Intelligente, istrionico, talentuoso, scrittore e poeta. Il Best italiano? Molto, molto di più

Vendrame, quello che... "segnare interrompe l'emozione del calcio"

«Se mi mandi in panchina godo», detto da uno che parlava con l'anima, linguaggio incomprensibile. Bisognava conoscerlo Ezio, abitava in un piccolo appartamento, lui diceva quattro per quattro, andava a occhio non l'ha mai misurato, neppure se gli chiedevi quanti gol avesse segnato in carriera, non lo sapeva, mai contati: «Caz ma è il momento più banale della partita, segni e interrompi tutte le emozioni, poi è solo una menata, abbracci, gioco fermo, palla al centro, devi riprendere e ricomincia tutto daccapo. A me piaceva quando colpivo il palo, a parte che è molto più difficile, ma nessuno dopo mi veniva ad abbracciare, non hanno mai capito niente»!

La sua carriera? No, la sua vita iniziata in un orfanatrofio: «Se mi dite che è partita male non sono d'accordo, se mi ha fatto diventare quello che sono rispondo che allora ho avuto un culo della, per capire le cose devi lasciarti trascinare, o le capisci col cuore o sei uno che cammina senza gambe, i miei errori sono stati dei capolavori. Quanti? Li conoscete, li chiamate errori, per me non lo sono, devo star qui a ricordarli»?

Fine campionato, arriva la Cremonese all'Appiani, con un punto si salva, lui è il capitano del Padova che non ha problemi di classifica. «Si sono parlati i dirigenti delle due squadre, c'è un accordo, non facciamoci del male. Ce lo riferiscono. Vabbè, cosa ci puoi fare, ubbidiamo. Inizia la partita, peggio di una amichevole, la gente comincia a capire, poi a fischiare. Non mi va questa faccenda», dice Ezio, «è gente che ha pagato il biglietto per vederci giocare a calcio, non è giusto, ci vuole rispetto, quello è il mio pubblico, cerca emozioni, gliele devo dare. Prendo il pallone a centrocampo e punto la nostra porta, dritto fino al portiere, mi guarda e non riesce neppure ad aprire la bocca, fingo di calciare, si tuffa, lo dribblo e mi fermo sulla riga di porta palla sotto la suola, poi torno indietro e ricomincio come se niente fosse. La gente in tribuna ha capito la mia follia, applaude».

Da infarto? Sì, da infarto. «In tribuna viene a un tifoso del Padova che ci resta secco, morto sul colpo: cazz mi è spiaciuto, tanto, ma poi ho pensato che se uno è malato e viene a vedermi giocare allora vuol dire che ha intenzione di suicidarsi»!

Talento e dribbling, uno diverso con l'erre moscia, ala e versione paesana di George Best, due vite parallele che si sfiorano senza mai toccarsi, a Vicenza ha lasciato cuori infranti, più donne che uomini. A Padova ha toccato vertici clamorosi, ferma la palla, la prende in mano e va sotto la tribuna a salutare il poeta Piero Ciampi: «Non sapevo che fosse lì, un grande maestro e grande amico, volevo che tutto lo stadio gli attribuisse un immenso applauso».

È pazzo? Dipende, a ragionare senza cuore ci si può sbagliare. A Udine viene insultato per tutta la partita, volevano salire in serie A, gara tesissima, lui calmo, angolo, va alla bandierina e ci si soffia il naso. Se avessero potuto sarebbero scesi in campo per strangolarlo. Prende la palla, indica un angolo della porta e fa segno che la mette lì. Oh la mette proprio lì, 1-0. «Ho avuto c» fa, non ha mai più segnato un gol da calcio d'angolo, ne prima ne dopo.

Altre cose? Tante, ma questo non è calcio come lo intendiamo, è un percorso di vita come quel giorno che si ritrova con due soldi in tasca e magari li può spendere. E prenditi un bel cappotto, gli fanno i compagni di squadra, una testa così, alla fine lo convincono, entra e ne compra uno di cammello, faceva un freddo cane, se lo tiene su.

Esce dal negozio e un ragazzino gli chiede l'elemosina: aveva su solo una magliettina, fa, «mi sono vergognato, ho tolto il cappotto e gliel'ho dato». Com'è finita? «Ho passato uno degli inverni più rigidi che ricordo senza mai sentire freddo».

Pochi gol? Vero, sentiva la partita, Luis Vinicio ha fatto di tutto per portarlo a Napoli e quando c'è riuscito si è pentito, tre presenze: è uno da allenamento, spiegò alla stampa il tecnico brasiliano. Ezio era uguale, in campo, nella vita, con gli amici, rispettava ma non condivideva. Campionato, ferma il pallone, ci sale sopra, e si mette la mano sulla fronte come per vedere lontano.

È pazzo! «Manno» fa, «ho fatto come gli indiani che salivano sulle colline per scrutare l'orizzonte se arrivavano i nordisti. L'uomo è debole e corre dietro a tutto, dicevano che andavo in giro con una gallina al guinzaglio, mai fatto, mi avranno chiesto cento volte se era vero, alla fine non ne potevo più e un giorno ho detto sì, è vero, non volevo deluderne un altro».

Alla fine è tornato a giocare a Casarsa della Delizia, nella squadra in cui ha iniziato e quando ha smesso ha fatto perdere le tracce: «Se devo parlare con degli imbecilli, preferisco morire in solitudine».

Si è messo a scrivere, romanzi, poesie: «Una vorrei recitarla» fa, «ne ho lette tante ma questa è la più bella di tutte, anche perché l'ho scritta io, però cercate di capirla, non date peso alle parole, dunque: Amo la tua ma non perché è la, ma perché è la tua». Ezio Vendrame.

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