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"Vi racconto dove è nata tutta la rabbia di Tevez"

Francesco Serafino, baby italiano del Boca Juniors: "A Fuerte Apache tra risse, retate e sequestri. In allenamento non si fischiano mai i falli, per farti aumentare la grinta"

"Vi racconto dove è nata tutta la rabbia di Tevez"

Quel gol di Tevez alla Maradona entusiasma anche il calabrese Francesco Serafino, nelle giovanili del Boca Juniors, la squadra più titolata di Buenos Aires. Dopo 52 anni, il 17enne cosentino è il primo italiano tesserato nel club della capitale argentina. «L'ultimo - ricorda - partì sempre da Fuscaldo, costa tirrenica, nel '61: Nicola Novello oggi ha 68 anni, era attaccante e l'avevano ribattezzato Nicolas».

Lei com'è arrivato in Argentina?

«Seguendo papà Domenico. Suona la chitarra nei concerti, è a contratto qui. Mamma Anna è rimasta in Calabria per non perdere il posto, in una casa di riposo. Sono nato a Rho, nel Milanese, ma già a 2 mesi scesi a Sud: a 5 anni cominciai a giocare nel Fuscaldo, a 10 ero alla Reggina».

Brillava sulle punizioni, ha sempre segnato parecchio.

«Mi muovo in agilità, partendo da destra. A 11 anni passo alla Roma, la squadra del cuore, grazie a Bruno Conti, responsabile del settore giovanile. A 12 emigro: al club Parque e poi all'Argentinos Juniors, dov'è cresciuto Maradona».

Nel Boca, Maradona segnò 28 gol nell'81-82, prima di passare al Barcellona.

«E Batistuta dai gialloblù passò alla Fiorentina, nel '91. Io sono in 4ª superiore e senza voti adeguati non mi confermano. E nella casa Amarilla, il centro sportivo, dobbiamo tenere spenti i cellulari. Amo tanto palleggiare, anche da solo e pure allo stadio Bombonera, a Baires: abito vicinissimo, nel quartiere di San Telmo».

Sino a due stagioni fa ha vissuto nel quartiere Fuerte Apache, dov'era cresciuto Carlitos Tevez.

«Nel barrio di Ciudadela. Avevo imparato il rispetto per tutti, anche in campo. Nelle partitelle i difensori picchiano duro, affrontai anche uno dei fratelli dell'attaccante juventino: l'allenatore non fischiava mai il fallo, dovevo rialzarmi e inseguire l'avversario per rubare la palla. L'esercizio aumenta la garra, rabbia agonistica».

Ci racconta come si vive alle origini di Tevez: lei rimase 9 mesi, nella pensione per giovani calciatori.

«Il quartiere è a rischio, pieno di contraddizioni. A qualsiasi ora si assiste a retate di polizia, risse armate, persino i sequestri sono ricorrenti. Sembra l'inferno, per le strutture fatiscenti, la tensione si respira nell'aria e pare soffocarti. Negli occhi di molti adolescenti però si avverte una grande speranza: tanti non frequentano la scuola, volontari li incitano a continuare. Ci si aggrappa a qualsiasi cosa dia speranza per un futuro migliore. Esistono talenti da sostenere».

Ecco dove nasce l'agonismo di Carlitos…

«Là è un idolo, appoggia persino un gruppo musicale, i Piola Vago. Agli amici di infanzia ha regalato un campo da calcio, per tenere lontano i ragazzi da spaccio e violenza. Ho giocato spesso con i giovani del barrio, hanno voglia di riscatto».

Per questo Tevez ai gol esponeva le scritte "Fuerte Apache" o "Ciudad Oculta".

«Per l'orgoglio degli argentini. Il 7-0 al Parma è stato accolto con entusiasmo dalle televisioni e dal "pueblo": Carlitos è il calciatore dei più umili. Qui tutti lo rivolevano nella Seleccion del Tata Martino».

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