Zemanlandia bis: quel miracolo del boemo con un Foggia smantellato

Nella stagione 92/93 il patron Pasquale Casillo gli vende mezza squadra: lui resiste e se la cava pescando (benissimo) in serie C

Zemanlandia bis: quel miracolo del boemo con un Foggia smantellato

Se ne sta seduto su una poltrona di pelle scomoda, lo sguardo perennemente perplesso che indugia sul foglio abbandonato sulla scrivania. L’uomo accanto a lui tamburella impaziente con le falangi della mano destra sul mogano intonso: è Peppino Pavone, il ds del Foggia. Quello che invece è lì davanti, intento a tirare freghi sulla lunga lista di nomi presentati, è il patron Pasquale Casillo. L’anno è il 1992. Precisamente, estate. Quando scende i gradoni ripidi dello Zaccheria, Zdenek Zeman si sorprende a sbuffare. Anche per uno con la sua flemma è decisamente troppo.

Che è successo? Che tocca tornare a incidere il disco quasi da capo, ecco cosa. Le signore feudali del campionato, tiranne indefesse, sono arrivate e hanno piazzato i gomiti tra le scapole lucide di quel 4-3-3 passionale. Shalimov all’Inter, Signori alla Lazio, Baiano alla Fiorentina. Come minimo fanno trentacinque gol in meno. Ma il sanguinamento è un fiotto che non termina qui. Ci sono anche Rambaudi all’Atalanta, Matrecano al Parma, Onofrio Barone al Bari e Mauro Picasso alla Reggina. Si potrebbe continuare, ma si fa prima a cicatrizzare la situazione così: Zemanlandia è stata smantellata. In totale fanno 53 miliardi delle vecchie lire. Il saccheggio ha assunto dimensioni colossali. La piazza è avvilita, ma il boemo non lascia che lo sconforto prevalga. Insieme al fedele Pavone redige minuziosamente una lista di talenti low cost, indicando una preferenza specifica: dalla prima scelta alla terza.

Nastro che balza in avanti. Zeman è sul prato deturpato dello stadio. I pali delle porte sono stati divelti e al centro del campo campeggia una scritta inequivocabile: CASILLO VATTENE. Poco più accanto però c’è anche la carezza dei tifosi: SCUSA, ZEMAN. La delusione si è tramutata in insopprimibile rabbia quando hanno appreso del ridimensionamento in atto. Casillo, su quel foglio, ha cancellato tutte le prime scelte. Dentro le ultime opzioni, quasi sempre carneadi che sguazzano in serie C. Il boemo inspira avidamente la terza sigaretta della mattina, poi vacilla per un istante. Stando così le cose, potrebbe anche andarsene. La stampa lo incalza sul punto. Lui, con quei modi affettati e lo sguardo sdegnato, emette la sua sentenza: “Resto, non fuggo”, sibila ai microfoni.

Nel ritiro di Campo Tures si ritrova al cospetto di una combriccola di sconosciuti. Certo, qualcuno è rimasto a bordo dell’imbarcazione crivellata. C’è il portiere Mancini, uno che ci sa fare decisamente anche in fase di impostazione. C’è il talentuoso Dan Petrescu là dietro. E c’è Igor Kolyvanov, attaccante sovietico non ancora sbocciato perché il sole se lo sono bevuto tutto quei tre piccoletti l’anno prima. Per suturare le molteplici fessure che si sono aperte nella pelle viva di Zemanlandia vengono pescate innumerevoli scommesse. Al centro della difesa ecco Di Bari (ex Bisceglie) e Bianchini, germoglio del vivaio della Lodigiani. Pasquale De Vincenzo, prelevato dalla Reggina, in C1, è il nuovo dieci. Dalla stessa categoria arriva anche Andrea Seno, chiamato a raccogliere l’ingombrante eredità del prolifico Shalimov. Una serie di salti di categoria potenzialmente letali. A dirigere l’orchestra, lì nel mezzo, viene chiamato un imberbe Luigi Di Biagio: arriva dal Monza, naturalmente serie C.

Certo, quel tridente che riduceva in brandelli le retroguardie avversarie non esiste più. Ma anche in questo caso il boemo afferra ago e filo e si mette a ricucire la sua creatura. Al centro dell’attacco gioca il russo, anche se non lo convince del tutto. Ai lati giostrano l’agile Bresciani, arrivato dal Palermo (retrocesso in C) e Oberdan Biagioni (dal Cosenza). Ci sono poi l’oggetto non identificato Medford e, più tardi, il fluttuante olandese Roy: lui, almeno, arriva dall’Ajax.

Zemanlandia bis è dunque servita. L’antipasto però risulta tiepido. Anzi, va proprio di traverso. L’inizio della stagione serve un tracollo senza fine nelle prime sette giornate. Poi quel motore ingolfato inizia a indovinare i giri giusti: i rossoneri affondano il Parma e poi, contro ogni pronostico, giustiziano la Vecchia Signora. Inizia un altro campionato. Di sofferenza, certo, ma con la l’idea fissa che salvarsi non può essere un’idea così peregrina. Che il calcio composto di idee e non di soli nomi altisonanti vale ancora qualcosa. Zeman, formidabile seduttore di intelletti, è il primo a crederci: la categoria da cui provieni non conta se hai la mente prensile per il suo modo di intendere le cose.

Così una squadra nata come sciagurato coacervo di rincalzi diventa caso di scuola per la scienza calcistica. Il Foggia si libra insolente oltre il pregiudizio e, a maggio, sconfiggendo la Samp, si mette in tasca la permanenza in Serie A.

L’ultima partita, la debacle a Firenze (6-2, ma viola clamorosamente in B) coincide anche con il singulto conclusivo di questa seconda invenzione Zemaniana. Ci sarà poi anche un tris. Ci saranno anche Lazio e Roma, incise nel suo futuro. Ma per il momento il boemo inspira ossigeno buono e socchiude le palpebre: la felicità a volte si nasconde in interstizi sorprendenti.

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