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Zidane, il trionfatore incontentabile «E ora voglio la terza di fila da allenatore»

Sergio Ramos: «Juve grande squadra, ma in finale vince chi sbaglia meno»

Luigi Guelpa

«È stato un finale di stagione spettacolare. Che cosa posso chiedere di più?», si domanda Cristiano Ronaldo al termine del trionfo di Cardiff. Il portoghese aveva solo 13 anni nel 1998 quando nacque il "Real a colori", da ieri ormai tridimensionale. Nella notte stregata (per la Juve) di Amsterdam, gli spagnoli vinsero la prima Champions dell'era moderna, quella appunto mutuata dalle televisioni che non esaltavano più solo il bianco della "camiseta". All'epoca il Real giocava le sue ultime carte per salvare la stagione, mettendo in moto una campagna di presa di coscienza nazionale per superare il disagio generato dalla minacciosa crisi economica che si stava avventando sul club. Il quasi architetto Heynckes plasmò il gruppo dei primi "galacticos" e da quel momento tutto è cambiato: la conquista della "settima" era diventata condizione indispensabile per riconfermare un'identità che era sempre stata egemonica. Le merengues non si sono più fermate, trasformando un album di foto ingiallite nello specchio della nuova vittoria annunciata. Il Real Madrid è il cannibalismo applicato al pallone: piazza in bacheca la 12esima Champions della sua storia, roba da vertigini, doppia quasi il Milan (7) e mette a segno quel doblete (Liga-Champions) che mancava all'appello dal 1958, ai tempi di Di Stefano. Zidane ne vince due di fila da allenatore, tre se contiamo quella da vice di Ancelotti.

Il capitano Sergio Ramos non sta più nella pelle: «Dedico la vittoria alla mia famiglia. La Juve? Una grande squadra, ma in queste gare vince chi commette meno errori». Morata, uno degli ex della partita, esalta il gioco di squadra: «Questo non è tennis. L'individualismo non premia. Il mio futuro? La Juve è la mia seconda squadra, per cui, in Italia, è difficile, sicuramente no. Mi dispiace per i bianconeri, perché ho i tifosi juventini nel cuore». Isco invece, più prosaicamente, non perde di vista gli errori merengues: «Non so cosa sarebbe accaduto se avessimo giocato come nel primo tempo. Per fortuna nella ripresa è venuto fuori il Real da sogno». Un Real in cui Zidane ha trovato le giuste alchimie, abbandonando il tridente e affidandosi a Isco come guastatore nelle terre di mezzo. «Voi dite Isco? Io invece vorrei sottolineare il lavoro di tutti. Quello che sto vivendo dentro di me è indescrivibile. Sarò qui anche il prossimo anno. Voglio la terza Champions da allenatore». Magari chiedendo alla società di rinforzare la difesa, forse l'unico punto dolente delle merengues. Il presidente Florentino Perez fa spallucce, per lui l'importante è lo spettacolo. E al netto di tutto accade sempre così. La doppietta di Ronaldo (105 gol in Champions) ridimensiona la magia volante di Mandzukic, e tra le due prodezze c'è persino lo spazio per un gol di Casemiro, il mediano-operaio che Zidane considera (ne avevamo parlato proprio ieri) «l'unico giocatore indispensabile del mio Real».

È scivolata via così la notte di Cardiff: con Cristiano Ronaldo che si candida, e non potrebbe essere altrimenti, a trionfatore del Pallone d'Oro, il quinto della sua carriera.

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