Zoff non cammina. Dino, questo "pallone" fermalo per tutti noi

L'ex portiere e ct simbolo del nostro calcio è ricoverato da 20 giorni. Dice: "Per adesso l'ho parata..."

Zoff non cammina. Dino, questo "pallone" fermalo per tutti noi

Dino Zoff ricoverato. Dino Zoff non può camminare. Dino Zoff ha rischiato di morire. Dino Zoff migliora. Dino Zoff sta bene. Le notizie ronzano come zanzare fastidiose, voci e rumori molesti, quelli che Dino, come sua moglie Anna, mantovana dura, non ha mai gradito e che lo circondano, per sapere, conoscere, dire, mormorare. Lui ha preferito cacciar via prefiche e illazioni: «Sto abbastanza bene, direi, ho avuto delle complicanze virali che mi hanno un po' scombussolato ma ora sono sulla buona strada, ho parato anche questa» ha detto rispondendo al sito online di Repubblica. Ha parlato al telefono con Michel Platini, ha scherzato, con l'ex compagno, sui reciproci e differenti guai: «I tuoi sono niente rispetto ai miei», poi ha scelto il silenzio, il silenzio della sua vita privata come è stata privata l'area di rigore per tutta la sua carriera mondiale. La schiena dolente, le gambe sofferenti, un malanno che sembrava influenzale e si è rivelato qualcosa di più serio da affrontare. Ed è stato affrontato; dopo la paura, la luce torna a farsi viva. Difficile immaginare Zoff steso su un letto, quello di una clinica, mentre osserva il soffitto e si guarda intorno in una stanza che sembra vuota ma è stata piena di incertezze. Rabbioso, Dino, di non essere altrove, lontano da tutti, nella dignità che lo accompagna da sempre, la dignità del campione, la dignità del friulano con la cultura del maso. In fondo, questo è un portiere, un uomo solo al comando, mentre gli altri si azzuffano, spingono, urlano, picchiano, corrono, giacciono. Una vita da osservatore, come oggi, leggendo un libro o qualche foglio quotidiano, aspettando l'uscita, come in campo, per salvare il risultato e non soltanto quello. Per dire quanto sia stato grande Zoff, per la nazionale e per la Juventus, ricordo una frase di Gianni Agnelli rivolta a Stefano Tacconi che di Dino aveva preso il posto e da Dino aveva appreso l'arte del mestiere, come allenatore: «Mi manca molto Zoff» disse il baffuto portiere umbro e l'Avvocato, senza nemmeno una pausa, lo mise a stendere: «Sapesse a noi».Zoff manca molto a questo football che lo ha messo da parte in fretta, come si usa fare con le persone intelligenti ma mai disponibili.

Nell'epoca dei tatuaggi e delle creste colorate, dei fenomeni con la scarpa sponsorizzata, di ballerini goffi e calciatori modesti, di cronisti di ogni stampo, urlanti e mai pensanti, Zoff continua a essere un marziano, uno, per l'appunto, che viene dall'altro mondo, il mondo del football illustre ma non presuntuoso e sfacciato. Difficile spiegarlo a chi, oggi, vive di social network e di strepiti televisivi su una parata da spiaggia o un salvataggio sulla linea. Quando Dino mise le sue mani sul pallone deviato dal brasiliano Oscar nella caliente Barcellona mundial, era il Sarria non il Camp Nou, si capì chi fosse il campione e chi lo sarebbe diventato dopo quel secondo ansioso, traslocando dalla cronaca alla storia. Zoff non va spiegato, semmai raccontato, anche nel suo discreto esistere, dietro i fari abbaglianti ma sempre presente, reattivo, coerente, duro come sanno essere duri certi friulani, Bearzot e Zoff, dunque, cognomi tronchi per uomini completi. Di colpo, tra il crepuscolo di Buffon e l'alba di Donnarumma, si torna sotto il monumento, si torna a scrivere di lui perché la notizia del suo ricovero a Roma è come il lampo improvviso e poi il tuono, perché Zoff è l'icona, perché Dino è figurina, fotografia, film, leggenda, alla fine è una persona assolutamente normale ma non ordinaria. Conta i giorni per tornare a giocare a golf, per godersi Roma che ha la sua stessa grande bellezza in un mondo lercio, per essere comunque sempre Zoff, San Dino come lo volle beatificare Giovanni Arpino in Azzurro tenebra: «Si muoveva sulla linea della propria porta con passo lento, battendo la punta della scarpa per liberare suola e tacchetti da residui d'erba e di terriccio.

Il pallore del volto spiccava come ostia al sommo del maglione grigio, la bocca schiusa era una linea di rabbia». Si rigioca, Dino, si torna in campo. Lascia pure che il mondo si agiti e urli. La porta è aperta. A presto.

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