Bruce Springsteen sarà progressista, operaista, carismatico, trasversale come lo definisce Michele Anselmi; certo non è la tradizione ma è figlio legittimo dei suoni tradizionali americani che stanno alle radici del rock. Un figlio che di quei suoni porta le stimmate attraverso le glabre e disperate pagine di album come Nebraska e The Ghost of Tom Joad. Si dirà che i riferimenti più o meno dotti a Steinbeck e un pugno di canzoni che raccontano storie di perdenti non fanno un pedigree da vero folksinger, ma nessuno a ben guardare pretende che Springsteen lo sia. Ora ha inciso The Seeger Sessions rileggendo i classici del folk e quelli resi famosi da Pete Seeger accolti con peana di gioia dalla critica. Difficile, come fa Anselmi, proporre improbabili paragoni tra i due: Seeger ha lottato sul campo combattendo le lotte sindacali con l’arma del canto di protesta; Springsteen è «solo» un sanguigno (non confondere la grinta con gli atteggiamenti da bullo) cantore della sua America di provincia e di strada nata dalle disillusioni dell’«american dream».
Bella scoperta che una cover non può essere paragonata all’originale, lo sappiamo bene noi che da quarant’anni seguiamo la musica acustica. All’asciutta sobrietà del banjo di Pete Seeger e alla sua voce dalla bizzarra eloquenza (ascoltare i tre cd American Favorite Ballads o il recente The Essential) bastano poche note per trasformare ogni canzone in una carismatica preghiera profana. E quindi il Boss (chiamiamolo così anche se a qualcuno non piace) non lo imita, non può imitarlo. Si toglie il cappello davanti alla storia e recita Seeger alla maniera di Springsteen. Proprio come Seeger più di mezzo secolo fa strappava Old Dan Tucker dal mondo ottocentesco della «minstrelsy» e dal repertorio del leggendario Dan Emmett, ora Bruce fa rivivere lo stesso brano con un piglio country un po’ caciarone, d’accordo, bizzosamente attraversato dai fiati, che ne conserva lo spirito primordiale celebrandone al tempo stesso l’attualità. Lo stesso procedimento viene utilizzato sui tempi lenti per rivestire antiche melodie come Jesse James, gospel come Mary Don’t You Weep, la ballata dei pionieri di Thomas Allen Erie Canal che è uno dei momenti più alti del disco. Anzi, fa sua la tradizione mischiando, nei solchi del cd, la carica affabulatoria di Seeger con la sintesi di blues-vaudeville-folk-pop di un altro eroe popolare come Jimmie Rodgers, detto «il ferroviere» o «il crooner del country». Voce strascicata e anarchica, banjo trascinante, violini un po’ stonati ma di atmosfera, spirito improvvisativo ma al contempo cura dei particolari e delle sfumature sono le armi su cui Springsteen punta per esprimere emozioni e dribblare lo spettro della ripetizione o della simulazione teatrale.
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