La corsa a interrogare Spatuzza per arrivare a spedire un avviso di garanzia a Silvio Berlusconi, inizialmente vedeva impegnate due sole procure che indagavano sulle stragi di mafia: Caltanissetta, per quelle del ’92, e Firenze per le bombe del ’93. Poi si è aggiunta Palermo, impegnata a districarsi fra «papelli» e «trattative». Quindi è stata la volta di Milano, in merito alle novità sulla bomba di via Palestro. Mentre adesso - per ammissione in aula dello stesso pentito di Brancaccio - sappiamo che anche i magistrati calabresi hanno preso a verbale il collaborante in un procedimento top secret: «Confermo, signor giudice, che sono stato interrogato in questi mesi anche dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria». E siamo a cinque. La procura reggina, tra distinguo e smentite informali, non indagherebbe direttamente su Berlusconi e Dell’Utri. Ci arriverebbe per vie traverse, sfruttando una pista che già in passato ha evidenziato legami affaristici fra cosche reggine e alcuni referenti di Cosa nostra, presenti nel settore ortofrutticolo, delle spedizioni, delle imprese di pulizia. Teste di legno e società di copertura. Un mondo che in qualche modo si vuole ricondurre agli eredi politici, agli amici degli amici, ai familiari del «sempre presente» Vittorio Mangano, anche loro non si capisce come e quanto vicini al «sempre presente», pure lui, Marcello Dell’Utri.
Le indagini della procura reggina sugli interessi della ’ndrangheta al Nord, e in particolare sulla piazza di Milano, hanno ripreso linfa dopo le confessioni Spatuzza. Si rifanno a un filone avviato cinque anni fa allorché in un bar di corso Lodi a Milano viene immortalato il boss di Africo, Salvatore Morabito, detto zu' Turi, in compagnia di Giuseppe Porto, palermitano e referente di Cosa nostra nella città della Madonnina, «indagato più volte - scrivono gli inquirenti - per il reato di associazione mafiosa». È intorno al nome di Pino il cinese, come viene chiamato nell’ambiente della malavita, che gli inquirenti si arrovellano su come arrivare a Mangano, e dunque al povero Dell’Utri reo d’aver fatto lavorare costui senza sapere dei suoi collegamenti. Il nome di Porto spunta infatti in più inchieste ed è spesso affiancato a quello del fattore di Arcore e dei suoi rampolli, Enrico Di Grusa, genero di Mangano, e Daniele Formisano, che secondo il pentito Angelo Chianello (tenuto in gran considerazione dalla procura di Milano) sarebbero legati a doppio filo proprio a Porto. In un filmato, agli atti dell’inchiesta sull’asse Reggio-Milano, spuntano le due figlie del fattore di Arcore: Loredana (moglie di Di Grusa) e Cinzia Mangano, i cui affari, secondo una ricostruzione investigativa ancora priva di riscontri, potrebbero dare nuova luce a fatti piombati nell’oblio dopo anni di indagini vane. È da qui, comunque, che nascono più inchieste, una indirizzata sulle infiltrazioni della ’ndrangheta dei Morabito nell’Ortomercato milanese e su decine e decine di cooperative create, secondo gli investigatori, per favorire gli affari della criminalità organizzata al nord. L’ipotesi della procura, assolutamente in fase embrionale, è che Porto, insieme alla figlie di Mangano, abbia costituito un vasto impero economico-finanziario «coperto». Come? Attraverso la costituzione di società di comodo, anche cooperative di facchinaggio e trasporti, su cui sarebbero stati fatti confluire fondi neri e milioni sporchi ripuliti. Gli unici riscontri finora trovati riguarderebbero i collegamenti fra mafiosi e ’ndranghetisti, niente sulla politica. In un’informativa della polizia si fa cenno alle frequentazioni tra «Francesco Bruzzaniti, nipote di Giuseppe Morabito (...) e Giuseppe Porto, vicino alla famiglia mafiosa palermitana di Pagliarelli». Passando per Morabito e per Porto anche gli inquirenti calabresi arrivano a Enrico Di Grusa (di cui si è già detto a proposito dell’inchiesta di Milano), genero di Mangano, legato in affari con la famiglia Fidanzati di cui il capostipite Gaetano è finito in manette ieri.
Nel puzzle delle indagini «indirette» sul Cavaliere entra anche l’attività del fratello di Enrico Di Grusa, Alessandro, condannato per aver favorito la latitanza di Giovanni Nicchi, il giovane boss di Cosa nostra ritenuto dai pm l’astro nascente della Cupola, e pure lui arrestato ieri. Stando ai soliti, immancabili, pentiti, Nicchi si intratteneva spesso con i dipendenti delle figlie di Mangano che controllano due cooperative, la Cgs New Group e la Csi Milano, e questo per gli inquirenti «è un indizio forte».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.