Andrea Acquarone
«Buongiorno signore. È ora della sveglia». Lui si rigira, sbadiglia, tira la coperta sul viso. «Signore, su, deve alzarsi... mi spiace». Il tono stavolta è un po più deciso. Ma cordiale. Venti metri dallHotel De La Ville, cento dal Duomo, altrettanti da palazzo Marino. Abita qui Franco. Stropiccia gli occhi, la mano, istintiva, corre al pacchetto di Marlboro, la fiammella accende una bionda. Si stiracchia, sbatte le palpebre gonfie, dalle labbra lo sbuffo della prima boccata di una giornata che come sempre inizia male.
Ha dormito sul pavimento, in un letto di piastrelle. Sarebbe sbagliato dire che vive tra noi. Nel cuore di Milano: lui ne occupa solo uno spazio. Piccolo, sporco e abusivo. Tra mura di cartone fragili come unesistenza sprecata. E il maggiordomo non è un maggiordomo. Veste in blu, ma la sua è una divisa da «sbirro» e in mano non porta la colazione. Pistola alla cintola, manette dietro. Accanto altri quattro come lui. Ecco la «squadra anti-clochard» della polizia municipale. Il cuore, però, non è di «ghisa», nonostante tutto. Nonostante il nome: Nucleo servizi mirati, come dire, il corpo delite di questi vigili metropolitani che oggi assomigliano sempre più a poliziotti. Non solo nel nome.
Eppure sono garbati, persino premurosi, proprio come li può ricordare chi ha superato gli «anta». Erano vestiti di nero un tempo, quelli col «buscione» in testa oggi sempre più raro, e disponibili in una Milano in «Cinquecento» che correva con grazia. E che adesso non cè più. «So che ti hanno rubato le scarpe laltra notte, te ne abbiamo portato un paio delle nostre». Non cè più il suo compagno a proteggerlo. Era un giovane-vecchio morto una mattina di luglio, al momento del risveglio, mentre ledicolante gli offriva una tazzina di caffè. Nessun necrologio.
Lalba, intanto, illumina la metropoli pronta a ripartire.
Sono le sette di una giornata uguale alle prossime. Almeno per loro, i vagabondi e gli uomini con le mostrine. Domani torneranno a svegliarlo. Sa di dover sparire Franco, mentre accanto al suo giaciglio già si illumina il video della banca con le quotazioni della borsa. Come ombre della notte, quando arriva la luce i barboni si dissolvono. Devono. Per questo è stata istituita la «ronda» mattutina. Sono una sessantina i senza tetto che popolano gallerie, anfratti, vicoli chiusi e androni del centro della city. Cinquecento metri quadri tra i più lussuosi al mondo che la strana nemesi del buio presta a chi non potrebbe mai permetterseli. Ma solo quando il volume della vita si abbassa.
Il giro riparte. Galleria del Corso, dietro le vetrine dei ricchi, galleria Hotel Ambasciatori, Galleria Pattari, via Manzoni, a pochi passi dallalbergo morì Giuseppe Verdi. Ad ogni bivacco, un colpetto di tosse e la solita frase. Pronunciata sempre con voce morbida. «Buongiorno signore, si svegli».
I cinque ghisa guidati dal commissario attendono pazienti. Conoscono la maggior parte dei «clienti», ma se si scorge un volto nuovo bisogna censirlo. Nome, cognome, età, ultimo indirizzo conosciuto. Sempre ammesso che si trovi un documento. Nel cruscotto della Stilo col lampeggiante i «poliziotti locali» tengono una guida. Si chiama «la città dimentinticata», titolo in minusculo, proprio così, piccolo come lumanità a cui è dedicato. Ci sono gli indirizzi di tutto, tutto ciò che può servire a questà umanità dolente. Case daccoglienza, mense per i poveri, centri dascolto, assistenza, ambulatori.
In pochi lo sfogliano. Finisce nello zaino logoro, chissà magari un giorno...
I barboni del terzo millennio sono spesso giovani, rassegnati come dei vecchi ma non ancora saggi. Trenta, quarantanni, qualcuno anche meno. Di giorno il ragazzo con barbetta e occhialini da «saggio» potrebbe anche passare per un persona qualunque. Trasandata, stanca ma tutto sommato «normale». Abita in una scatola formato matrimoniale con finestra ritagliata nella galleria che si affaccia su Largo dei Bersaglieri. Accanto a lui due cagnoni. Nei «domicili» vicini altri tre signori vestiti quasi da persone per bene. I bobby senza manganello li scuotono delicatamente. «Ciao». «Tutto bene?». Si conoscono ormai, è un po come alladunata in caserma. Fagotto da preparare veloce e pronti per la marcia. Verso la «moneta» come la chiamano loro. «Vuol dire chiedere lelemosina», sorride amaro uno di loro.
Sono quasi le 9.
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