Lo squadrone di ghiaccio che infiamma Milano

Una passione che cresce e un palazzetto «tutto esaurito». Quattro scudetti, tre coppe Italia, due Supercoppe: il club milanese è nella storia

Claudio De Carli

Capita poche volte di celebrare una squadra e non riuscire a trovare spazio per farci stare dentro tutto. Questi fenomeni dello schianto alla balaustra sono scesi sul ghiaccio sei anni fa e hanno saccheggiato senza ritegno il bancone dei trofei, pare che quando si presentano per una delle loro trasferte nelle valli, gli abitanti si affrettino a nascondere sotto il letto le medagliette placate oro dei loro piccoli, non si sa mai. Domenica sera nella finale di coppa Italia all’Agorà hanno «asfaltato» Cortina, portando a nove i trofei ottenuti in sei anni. Sembrerà seccante, ma occorre fare il punto: il progetto del nuovo hockey in città era nato quando l’ex sponsor Saima, e cioè il Presidente Alvise di Canossa, era stato folgorato dalla geniale idea di unire per una stagione le forze del rinato Milano a quelle del Cortina, disputando il torneo italofrancese. Questi signori si sono infilati i pattini e hanno vinto subito, tanto da urtare l’adolescenziale patriottismo di un ministro francese che si era opposto alla consegna del trofeo, sigh, venne sfiorato l’incidente diplomatico.
Ma sono quelle scosse che rendono forti e nella stagione successiva il progetto sportivo e imprenditoriale prende quota. Vipers diventa il nickname della squadra e come allenatore viene chiamato Adolf Insam, coach della nazionale italiana. I Vipers pattinano sul ghiaccio di casa e arrivano in finale di campionato e coppa, quelli delle valli pensano: sarà un caso. A settembre giocano la finale di Supercoppa e la vincono contro Asiago ad Asiago: una coincidenza, è evidente. Intanto c’è anche l’Europa: in una semifinale di Continental cup alla quale neppure rivedendo il filmato la gente credeva ai suoi occhi, i Vipers mandano sotto zero gli slovacchi dello Zvolen, impresa ritenuta ancora oggi epica. Nel 2002 arriva il primo scudetto contro Alleghe e quando ti metti sulla casacca i fregi di campione d’Italia, gli altri non possono più dirti che sarà un caso. La bacheca inizia a vacillare sotto il peso dei trofei: seconda Supercoppa e Forum di Assago sede delle finali di Continental cup, 17mila spettatori in 3 giorni. La striscia continua con la prima coppa Italia della storia ad Asiago che poi molla nuovamente il titolo di campione d’Italia ai milanesi: è la stagione del Grande slam, i Vipers conquistano i tre tornei nazionali e non si fermano, si presenta nuovamente Asiago nelle finali scudetto e loro vincono il terzo tricolore consecutivo.
Arriva la stagione 2004-05, quella dello sciopero Nhl che permette alle squadre italiane di ingaggiare gli hockeisti della lega nordamericana. A Milano arrivano Craig Adams, Niklas Sundstrom, Daniel Tkaczuk ed in seguito Rob Di Maio, i Vipers erano forti, diventano ancora più forti. A Mosca contro i maestri della Dinamo e mille tifosi italiani al seguito, i Vipers giocano la partita del secolo, perdono, ma nel palazzetto i bravi moscoviti smettono di trangugiare vodka perché per scaldarsi battono le mani ai milanesi. Adesso anche in Europa conoscono Milano, e non pensano sia un caso. Arrivano un altro scudetto, il quarto in serie, un’altra coppa Italia al Palaonda di Bolzano contro Cortina a stadio esaurito.


Il vero problema è: cosa fare ora? Come andare avanti e trovare cose nuove da abbattere?
Il presidente Alvise di Canossa ha una sua formula: «Una federazione staccata dal resto dell’attività sul ghiaccio come in tutto il resto d’Europa. Una pianificazione che consenta di tenere in vita il Palazzo anche dopo le Olimpiadi e il regalo della nazionale che viene a giocare a Milano».

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