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Stadi, dietro la Juventus il vuoto

Se gli stadi italiani sono anacronistici e obsoleti, se l’Olimpico di Roma è l’unico a cinque stelle, se il Meazza di Milano non può ospitare la finale di Champions League, e per farlo Consorzio e Comune dovranno sborsare più di 40 milioni, se dietro l’iniziativa della Juventus c’è il vuoto, la legge sugli impianti sportivi non rappresenta la panacea di ogni male. E’ solo un alibi dietro cui si trincerano i presidenti dei club italiani che preferiscono acquistare il trentesimo giocatore piuttosto che investire su un impianto di proprietà.
E’ quanto si arguisce dalle parole dell’on. Claudio Barbaro, relatore della legge sugli stadi e consigliere nazionale del Coni, che non è tenero con il mondo del grande calcio. Ascoltiamolo. «La legge tornerà presto al vaglio della commissione alla Camera per poi essere approvata anche dalla commissione del Senato. Non c’è bisogno che vada in aula. La nuova formulazione, assolutamente rispettosa dei vincoli urbanistici, dovrebbe avere un riscontro trasversale. Fra l’altro non prevede denari pubblici e destina una somma pari al 2% della spesa in palestre scolastiche. Ma neanche nel precedente format metteva in discussione le leggi esistenti come volevano far credere alcuni partiti. La legge si propone di facilitare tutti quei club che vogliono costruire un nuovo impianto o ristrutturare degnamente il vecchio per superare i paletti burocratici, armonizzare la normativa esistente, in una parola velocizzare l’iter. Nel suo interno prevede compensazioni di natura residenziale e/o commerciale per venire incontro agli investimenti di centinaia di milioni. Ma da sola non basta a voltare pagina. Lo dimostra la Juventus, che a settembre inaugurerà il nuovo stadio».
E allora, sorge spontanea la domanda, cosa ci vuole, meglio, cosa ci vorrebbe? La risposta è lapidaria: «La volontà politica di fare le cose. Ma non solo. All’orizzonte è venuta fuori un’altra grana. Il grande calcio vorrebbe stralciare la parte sui diritti tv per rivisitare la suddivisione dei proventi e rimettere in discussione la legge Melandri. In Senato i soliti noti hanno tentato un colpo di mano senza peraltro riuscirci, alla Camera è meglio che non ci provino».
D’accordo anche l’architetto Alessandro Zoppini dello studio omonimo che sta ottenendo grandi successi all’estero: «In Italia la situazione è da terzo mondo e si contrappone alle realtà estere, consolidate da decenni, per mancanza di metodo e di preparazione specifica. Non c’è cultura. Da anni diciamo quali sono le priorità nell’approccio alla progettazione: al primo punto la gestione, al secondo e al terzo punto ancora la gestione. Le altre componenti sono più facilmente risolvibili. Nella sostanza il progetto gestionale deve prevalere su quello architettonico. La filosofia del nostro studio professionale s’è rivelata pagante. Altrimenti non avremmo vinto concorsi di progetti importanti come la Figure Skating Arena e l’Oval di Soci sede della prossima Olimpiade invernale, l’Oval di Pyeongchang, che ospiterà i Giochi del 2018, lo stadio di Riyad e soprattutto l’Oval di Torino 2006, le cui caratteristiche gestionali hanno portato ad una occupazione dell’impianto nel 2009 per circa 180 giorni. In conclusione uno stadio va programmato alla ricerca di un equilibrio tra sostenibilità economica, sostenibilità ambientale, particolarmente in periodi di crisi energetica, e soprattutto sostenibilità sociale, a beneficio di tutta la comunità locale».
A sua volta Roberto Ghiretti, leader nell’organizzazione e comunicazione di eventi sportivi, pone l’accento sull’impiantistica di base per dare voce a tutti coloro che fanno sport al di fuori dei canoni societari: «Solo lavorando in questa ottica, fra l’altro con poca spesa, possiamo migliorare la cultura dello sport, educare i giovani e cambiare anche la geografia di chi va allo stadio con la voglia di spaccare tutto.

A prescindere».

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