«ALLO STADIO COME SULL’AEREO»

«Capisco i club, ma il futuro è nei biglietti nominativi. A San Siro videocamere alle quali non sfugge nulla. L’Inter non è prigioniera degli ultrà, Moratti non ha mai voluto incontrarli»

Stefano Zurlo

da Milano

Questa sera, da buon tifoso nerazzurro, andrà al Meazza con la figlia undicenne. Fabio Roia però non è uno spettatore qualunque: è il pubblico ministero che ha indagato sulla folle notte del derby di Champions League e da lì è partito per studiare le pazzie compiute dalle bande di ultrà di mezza Italia.
A che punto è la sua indagine?
«Ho chiuso la prima tranche sui fatti del 12 aprile, proseguo sul resto. Non posso dire nulla nel merito».
Lei ipotizza, in questa seconda tranche, l’associazione a delinquere finalizzata alla turbativa.
«Contro ignoti».
Gli ultrà violenti non hanno ancora nome e cognome?
«Per ora no. Ho avviato un lavoro di comparazione: Inter, Milan, Roma, Lazio, Livorno. Le curve più effervescenti e forse più importanti d’Italia».
Curve che spesso assumono una colorazione politica.
«Sì, giocano a imitare la destra e la sinistra. Con un problema che definirei sociologico».
Quale?
«La sinistra ha i centri sociali».
La destra?
«Va allo stadio, in mancanza di alternative».
È il caso dell’Inter?
«Direi di sì. Il Milan fa un po’ storia a sé, perchè lì destra e sinistra convivono non so per quali ragioni».
I giornali hanno puntato il dito contro l’Inter.
«Io credo che l’Inter non vada demonizzata».
Parla da tifoso?
«Parlo da magistrato. Il patron Massimo Moratti non ha mai voluto incontrare i capi della curva, l’Inter si è costituita parte civile nel processo contro gli ultrà che hanno lanciato fumogeni il 12 aprile, e credo sia la prima volta in Italia che una società fa un passo del genere; sempre l’Inter ha avviato una bonifica di tipo culturale».
Che significa bonifica culturale?
«L’Inter ha cercato di sensibilizzare i capi delle tifoserie, per stabilire un clima di civiltà sugli spalti».
Come spiega allora il 12 aprile?
«Sicuramente i disordini non erano preordinati. Dobbiamo capire perchè il lancio è andato avanti ad oltranza».
La sua idea?
«Forse la situazione è sfuggita di mano ai capi. Sa, la tifoseria non è un blocco compatto e con una precisa gerarchia. Dalle parti dell’Inter c’è un problema di leadership, di rivalità fra gruppi diversi, di ricambio anche generazionale. I vecchi capi, per quanto ho constatato, stanno svolgendo un lavoro di pacificazione ed è facile che vengano contestati. Diciamo la verità: la curva è un magma».
La curva è una zona franca?
«Certo è uno spazio particolare, ma è anche vero che al Meazza c’è un sistema di videosorveglianza che permette di vedere tutto. Ma proprio tutto».
Il 12 aprile la polizia è rimasta con le braccia conserte.
«La polizia fa il suo mestiere che è mantenere l’ordine pubblico. Quella sera la polizia ha valutato che fosse meglio aspettare, un ragionamento che ha una sua logica».
Vuol dire che la polizia non era in grado di ristabilire la calma?
«Solo i poliziotti hanno il polso della situazione e agiscono di conseguenza. Hanno pesato gli elementi in loro possesso: del resto la polizia mantiene un canale aperto con gli ultrà, mi pare normale. E qualche volta chiude un occhio per portare a casa un obiettivo più importante. Quando indagavo sul Leoncavallo, venni a sapere dai giornalisti, e non dalle forze dell’ordine, che era stata smontata un’antenna radio abusiva alta decine di metri».
Insomma, gli ultrà nerazzuri non sono in grado di ricattare la società?
«Mai detto qualcosa del genere. A parte il 12 aprile, Milano si è rivelata città tranquilla. Mi pare ci siano situazioni più complesse altrove».
Dove?
«No comment».
In Inghilterra hanno sconfitto gli hooligan. Da noi no: perchè?
«In Inghilterra gli steward delle società sono pubblici ufficiali e possono perquisire. Da noi, gli steward hanno un ruolo poco più che simbolico. E poi, attenzione, gli hooligans sono usciti dagli stadi per darsi battaglia nelle strade. Sarei cauto nel dire che il fenomeno è stato sconfitto».
Biglietti nominativi. Lei è favorevole o contrario?
«Mi sembra un passo in avanti. E però capisco le rimostranze da parte delle società. Chi ha l’abbonamento non sempre va: in quel caso la tessera resterà inutilizzata.

Ma l’approdo finale è inevitabile: si entrerà allo stadio con le stesse procedure con cui oggi si sale sull’aereo».
Questa sera?
«Andrò tranquillamente al Meazza, come ho fatto quest’anno per le partite di Champions. E porterò con me mia figlia».

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