LA STANZA DEL FIGLIO

Nei giorni scorsi, aprendo le decine e decine di lettere con cui ci gratificate ogni giorno, mi sono imbattuto in una pagina a quadretti, scritta in stampatello, di fronte alla quale non sono riuscito a trattenere le lacrime. Era di un nostro carissimo lettore pegliese che raccontava la morte di suo figlio, Filippo Olivari. E, con l’amore che solo i genitori conoscono, trasmetteva le sue emozioni.
Bastava leggere quella pagina, il racconto del suo ragazzo, il tradimento degli amici e degli affetti, la solitudine terribile in cui si era trovato, mollato da tutti tranne che dalla famiglia, per partecipare alla sofferenza del papà. Che, dopo aver raccontato la storia di suo figlio, chiudeva: «So che a voi queste cose non interessano, ma io sono un vecchio padre che muore dal dolore».
A quel punto, non ce l’ho fatta. Mi sono sciolto in un lunghissimo pianto, che racchiudeva soprattutto la volontà di stare vicino, di abbracciare in qualche modo il dottor Enrico, il papà di Filippo, il «bravo ragazzo» descritto nella lettera. A quel punto, ho alzato la cornetta ed ho avuto la fortuna di parlargli direttamente, di dirglielo, di fargli sapere che noi ed io eravamo vicini al suo dolore. Mi sono permesso, soprattutto, di fargli sapere che il suo dolore è il dolore di una grande famiglia, quella dei lettori del Giornale.
Perchè sono felice di conoscervi, sono felice del vostro modo di essere lettori e sono felice, soprattutto, delle emozioni che riuscite a trasmetterci ogni volta, trasformando un mestiere che spesso purtroppo è roba da burocrati frustrati in una scuola quotidiana di vita. Quindi, so che le mie lacrime e il mio abbraccio al papà di Filippo, sono le vostre.
Così come è il vostro l’abbraccio che vorrei fare ai genitori di Michele Arnulfo, il ragazzo quindicenne morto lo scorso anno in Sardegna, nel mare della Costa Smeralda per la puntura di una rarissima razza.
Quando è successo, ne scrivemmo il minimo indispensabile, quello che serviva per una cronaca completa, ma non una riga in più. Se c’è qualcosa ci fa orrore è il giornalismo da sciacalli che si getta sulle disgrazie altrui per vendere qualche copia in più con un titolo o una locandina particolarmente forti.
Oggi, però, un anno dopo (era fine giugno dello scorso anno), vorremmo solo abbracciare il papà, la mamma, il fratello e tutta la famiglia di Michele, giovane talento del rugby e soprattutto bravissimo figlio, ragazzo amato da chiunque lo conosceva.


Ecco, ripeto, per il papà di Filippo e per quello di Michele e per tutti quelli come loro - colpiti dalla più ingiusta e contronatura delle tragedie, la morte dei loro figli, raccontata da Nanni Moretti nel più poetico, duro e commovente dei suoi film, La stanza del figlio - non abbiamo altre parole. Solo il più vero e caldo degli abbracci.

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