Caro dott. Cervi, tardi ho capito la grandezza di Indro: è avvenuto quasi per caso, leggendo L'Italia del Novecento. Ancor più tardi ho compreso che quel libro era in prevalenza opera sua. Ma ciò non sminuisce il valore di Montanelli, ne esalta la capacità di valorizzare dei talenti. Le muovo però un piccolo rimprovero: non aver continuato con la Storia d'Italia, magari lasciando in bianco prefazione e conclusioni, nei precedenti volumi appannaggio di Indro. Per farsi «perdonare» le chiedo un «aiutino». Così come in altre testate, sarebbe giusto che sotto il Giornale comparisse il nome del suo fondatore. Il quarantennale può essere l'occasione giusta, lei la persona adatta per provarci.
Jesi (Ancona)
Caro Branciari, da molti mi è stato chiesto, in questi ultimi anni, perché io non abbia voluto proseguire la Storia d'Italia. È vero, i libri a quattro mani da me firmati con Montanelli erano in massima parte lavoro mio. E lo stesso Montanelli, annunciando in un desolato «poscritto» a L'Italia dell'Ulivo l'intenzione di suggellare la sua ciclopica fatica mi aveva così esortato a continuare: «Questo volume segna il capolinea della nostra storia dell'Italia contemporanea. Mario Cervi, di parecchi anni più giovane di me, potrà, se vorrà, e io spero lo voglia, continuare da solo. Io debbo prendere congedo dai nostri lettori. E non soltanto per ragioni anagrafiche, anche per sé abbastanza evidenti e cogenti. Ma perché il congedo l'ho preso, negli ultimi tempi, dalla stessa Italia». Nonostante l'incoraggiamento di Indro non me la sono sentita di andare avanti. Molte, quasi tutte le pagine degli ultimi libri erano state scritte da me, ma il marchio di fabbrica, l'impostazione, lo stile e se vogliamo l'ideologia dell'opera erano suoi e soltanto suoi. La Storia d'Italia di Montanelli non aveva senso senza Montanelli. Del quale, oltretutto, condividevo un pessimismo che invogliava a farla finita. Giusto aver chiuso. Quanto all'altra sua domanda dico subito che il vedere il nome Montanelli sotto la testata del Giornale, come fanno la Repubblica per Eugenio Scalfari e Libero per Vittorio Feltri, mi renderebbe felice. Ovviamente non spetta a me decidere. Mi rendo tuttavia conto delle difficoltà che può incontrare questo bel sogno. Non mancherebbero, tra i lettori, le opposizioni di chi tuttora considera Montanelli un reprobo, e non mancherebbero magari le proposte di affiancare al nome di chi del Giornale fu fondatore il nome di chi ne fu salvatore, Silvio Berlusconi. Il rapporto tra due protagonisti del nostro Paese è stato avvelenato da rancori e furori.
Il nome di Indro è importante, questo quarantennale mi ha commosso anche per il suo ritorno tra noi con la magia d'una scrittura irripetibile. Ma una polemica sul nome o sui nomi da collocare sotto la testata sarebbe avvilente. Forse, tutto sommato, è meglio che ci resti solo quello del direttore.