la stanza di Mario CerviGiustino Fortunato, grande meridionalista contro il Meridione

Signore, crede che me lo sia dimenticato? È dal 6 dicembre dello scorso anno che le chiedo di volermi dire chi sono i «grandi meridionalisti» cui lei fece, in pompa magna, riferimento (senza, ovviamente, citarne uno perché non sa chi siano), in una risposta a un lettore sul passato della nostra (nostra meridionale) Storia del Risorgimento (piemontese).
Napoli

Ludovico Santoro ha tratto spunto per insultarmi dalla frasetta d'una risposta in cui affermavo che i mali del Meridione non erano colpa dei soli piemontesi ma anche, in larga misura, dei meridionali. Aggiungevo che questa realtà era stata riconosciuta anche da grandi meridionalisti. Con villania spocchiosa il Santoro mi ha per mesi sfidato a fare il nome d'un solo «grande meridionalista» che corroborasse la mia tesi. L'ho ignorato a lungo ma adesso, nella speranza di togliermelo di torno, il nome lo faccio, ed è quello del più grande tra i grandi meridionalisti: Giustino Fortunato. Cito da una pagina autobiografica di Indro Montanelli: «Era il 1930 e io, appassionato di problemi meridionalistici, ne scrivevo su un piccolo quindicinale fiorentino, “L'Universale”. Un giorno ricevetti questo biglietto: “Caro signore, seguo con molto interesse i suoi articoli. Purtroppo non sono d'accordo con le conclusioni e se viene a trovarmi glie ne spiegherò il perché. Giustino Fortunato”. L'indomani bussai alla porta di don Giustino. Mi condusse nella libreria dove parlammo per quasi due ore. Secondo lui la questione del Meridione non esisteva. Esisteva solo quella dei meridionali. Siccome mi ribellavo a questa definizione che sembrava razzista rispose “la razza non c'entra” e mi condusse in un'altra biblioteca foderata di libri. “Non sono miei, sono di mia sorella che essendo molto pia ha raccolto le opere dei mistici italiani. Ne ha vista qualcuna d'un mistico meridionale?” “No”. “La questione meridionale è tutta qui.

Noi meridionali non crediamo in Dio, chi non crede in Dio non crede nel domani, non pianta alberi, li lascia distruggere dalle sue capre allo stadio di virgulti. Vada a vedere i nostri calanchi, ammassi di argilla senza vita e se ne accorgerà”». Così parlò, testimone Montanelli, il più grande tra i grandi meridionalisti.

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