la stanza di Mario CerviPiù ragazzi negli Istituti agrari? Buon segno, ma niente nostalgie...

Bruno Vespa a Porta a Porta, ospite il ministro dell'Agricoltura, dopo aver illustrato che la frequenza agli istituti agrari è aumentata del 29 per cento, ha detto: «I giovani hanno finalmente capito che invece di studiare Scienza delle comunicazioni è meglio dedicarsi all'agricoltura». Non mi sembra un messaggio educativo e stimolante nei confronti di molti giovani che si accingono a compiere una scelta di studio guidata dalle proprie predisposizioni, formazione e aspirazioni.
Varese

Cara amica, non ho assistito alla puntata di Porta a Porta cui lei si riferisce, ma credo d'aver capito - dal suo riassunto - che cosa Vespa intendesse dire. Nulla da obbiettare se la scelta della facoltà dipende da autentici interessi dello studente. Purtroppo si ha la sensazione che da molti - non da tutti, intendiamoci - discipline come Scienze politiche o delle comunicazioni, o Legge, o anche Lettere siano preferite perché meno difficili e perché richiedono una molto minore assiduità di studio. E siano preferite anche se il mercato del lavoro richiede, a tutti i livelli, preparazione e capacità diverse. L'umanesimo è una gran cosa, quando corrisponde alla vocazione dello studente. È una cosa molto modesta quando in realtà ha come obbiettivo una scrivania burocratica. Se la scelta della facoltà deriva dalla sua vera o presunta facilità, se la si ama perché si presta a chiacchiere vaghe mentre un calcolo o è giusto o è sbagliato, si rinuncia a una vera selezione. Nessuno pretende che un nuovo Leopardi debba macerarsi in approfondimenti agricoli. Ma è giusto auspicare che chi non ha nemmeno lontanamente il genio d'un novello Leopardi dedichi i propri talenti all'agricoltura piuttosto che alla poesia o al romanzo.

Sono anch'io del parere che il ritorno dei giovani negli istituti agrari sia un buon segnale. Senza che debba anche lontanamente rappresentare la nostalgia per un'Italia rurale di tipo fascista nella quale i contadini appresero un giorno, con loro enorme sconcerto, d'essere «vèliti del grano».

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