Caro Dott. Cervi, ho letto la proposta di introdurre la pena di morte per i delitti più efferati. Ma non parliamone neanche! A parte il costo della suddetta operazione, insorgerebbero i buonisti, il Papa e la Chiesa compatta (dimenticandosi l'Inquisizione e la caccia alle streghe), e chi preferisce l'uso della galera perché ci guadagna, poi i professionisti del «no», i parlamentari divisi su tutto meno che sulle prebende, i fautori della redenzione, etc. etc. Credo che ci sia qualcosa di meglio, più pratico, più utile, più deterrente. Ovvero il metodo attuato dallo «Sceriffo più cattivo del mondo» (il Giornale del 16/5/05): durissimi lavori forzati a vita, d'estate in montagna, d'inverno in pianura e sulle coste, con annesso sacco a pelo, cucina da campo, doccia fredda con pompa e così via rieducando. Il tutto sotto l'occhiuta costante sorveglianza dei magistrati dalla liberazione facile, che così imparerebbero qualcosa, condividendo in loco. Lei che ne pensa?
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Caro Petracco, penso che la sua idea possa avere un fondo di ragionevolezza, ma che sia irrealizzabile. Lo è anzitutto perché, mentre viene invocata l'introduzione del reato di tortura, le forme di castigo da lei ipotizzate - lavori forzati a vita - con la tortura hanno una stretta parentela. Non possiamo provare umana comprensione per Papillon e poi voler popolare l'Italia - ma dove?- di Papillon trattati più duramente che alla Caienna. Per stare al pratico, immagino già l'immane struttura burocratica, con l'immancabile authority, che verrebbe allestita per fornire di sacchi a pelo e cucine da campo i detenuti.
E poi le tangenti sugli appalti, le tardive inchieste della magistratura, le proposte di riforma avanzate dai partiti e da numerosi rissanti sociologi. Meglio stare all'oggi, e alle sue modeste possibilità. Il domani, almeno per i problemi carcerari, non può riservarci altro che delusioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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