la stanza di Mario CerviSenza retorica, ma andiamo fieri del 4 novembre 1918

Ci avviciniamo al 4 novembre, data che, nonostante ogni tentativo d'eversione delle menti e dei fatti, non si cancella facilmente dalla memoria degli italiani. Patria è una parola che in quel ricordo acquista significato. Forse la casta non ama ricordare quella parola perché stride di fronte a tanta amoralità. Perché oggi la fortuna privilegia i peggiori. Ma si tratta sempre del ricordo di una vittoria conquistata da tutti gli italiani, tutti insieme. Noi festeggiamo la vittoria il 4 novembre, data in cui si chiese l'armistizio sul fronte italiano. Prima resa del nemico, su tutti i fronti. Francesi ed inglesi festeggiano il 12 novembre, perché solo in quella data ricevettero richiesta di armistizio.
Rapallo (Genova)

Caro Oneto, il 4 novembre merita d'essere celebrato solennemente per la sua importanza come vittoria e per il suo immane prezzo di sangue, 600mila morti. È significativo che solo la guerra conclusa quel giorno del 1918 abbia, nel linguaggio popolare, l'appellativo di Grande, la Grande Guerra. Una giusta revisione ma anche la moda delle dissacrazioni hanno gettato ombre sul maggiore evento dell'Italia unita. Mentre l'Europa si dissanguava, i pescecani - industriali e faccendieri inseriti nel giuoco delle forniture militari - s'arricchivano. Lo scontro d'allora fu - si dice riecheggiando le parole d'un Papa - un'inutile strage, dopo la carneficina vennero le settimane rosse, il manganello delle camicie nere, i vent'anni mussoliniani. L'epopea non ha soltanto luci sfolgoranti.

Ma in quella prova tremenda l'Italia si sentì veramente nazione, sono lì ad attestarlo i nomi scritti sui monumenti per i caduti di ogni città e di ogni borgata. Evitiamo, per carità, di cedere alle tardive suggestioni dei retori. Ma evitiamo ugualmente l'autoflagellazione dei disfattisti.

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