la stanza di Mario CerviViviamo una crisi grave che però non va sopravvalutata

Otto milioni d'indigenti sono una pesante sconfitta per ogni democrazia. Vuol dire che la macchina economica premia solo una fetta della società, infischiandosene, anche se con furba retorica e proprio per questo odiosa e rigettante, di tutte quelle persone con l'acqua alla gola. La povertà – che papa Francesco ha assunto come riferimento per il suo pontificato – è una sorta di mina vagante. Molti imprenditori (e non solo loro) hanno scelto il gesto estremo. Ma cosa potrebbe succedere se i poveri si ribellassero? Se anziché togliersi la vita, costituissero un partito, che, temo, sarebbe senza regole? Lo so, finché questi discorsi restano solo parole, si può rispondere con un chissenefrega. Ma se un brutto giorno, dalle parole si dovesse passare ai fatti, addio democrazia. Non sarebbe meglio pensarci prima?
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Caro Sicari, lei ha non una ma mille ragioni nel sottolineare la drammaticità del momento economico e sociale che l'Italia vive. Il declino della classe media verso la povertà, la moria dei negozi, i suicidi degli imprenditori, sono tutti sintomi d'una vera e propria tragedia nazionale. La consapevolezza del disastro non deve tuttavia farci dimenticare, secondo me, il contesto nel quale il disastro è maturato, e si svolge. Nonostante l'eloquenza dei dati negativi l'Italia continua ad appartenere all'èlite dei Paesi ricchi. Saremo anche in coda, nel ranking della prosperità. Ma apparteniamo a quel club. Fummo una terra dalla quale si emigrava, per guadagnarsi il pane, siamo una terra sulla quale si riversano folle di diseredati per guadagnarsi il pane (e anche, come purtroppo sappiamo, per delinquere). La disoccupazione imperversa soprattutto tra i giovani, la ricerca d'un lavoro è stressante e disperata. Ma i mungitori sono tutti indiani perché quel mestiere -anche se ben pagato- gli italiani lo rifiutano. C'è, se ben ricordo, carenza d'infermieri. Sono migliaia le domande nei concorsi per mansioni burocratiche, sono zero le domande per corsi d'operaio specializzato o per una attività artigianale. La disoccupazione europea in generale e italiana in particolare è selettiva: come è giusto che sia nelle aree privilegiate. Con queste notazioni non intendo affatto sminuire -mi si muoverà sicuramente questa accusa- le sofferenze d'un bruttissimo periodo, né sottovalutare la rabbia di cittadini mal governati durante decenni.

Ritengo soltanto che insieme ai legittimi lamenti e alle sacrosante rivendicazioni vi sia la consapevolezza che il passato -non remotissimo, alcuni decenni addietro- era per la povera gente più duro del durissimo presente.

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