Atene - C’è un filo che congiunge Atene 2007 a Berlino 2006, la finale inattesa del Milan scintillante alla cavalcata trionfale degli azzurri di Lippi nel mondiale di un anno fa. Le analogie riguardano le condizioni di obiettiva difficoltà in cui è maturato il clamoroso risultato del calcio italiano, allora come oggi accompagnato da uno strepitoso orgoglio e da una gestione illuminata dei dirigenti coinvolti. Il club Italia ebbe una gestazione sofferta, a Coverciano nel mese di maggio, con Buffon, Cannavaro e Lippi al centro di polemiche e veleni legati a «moggiopoli», il Milan rischiò il naufragio in un semestre pieno di turbolenze e di guai, fisici e non. Entrambi i gruppi vennero fuori dal tunnel seguendo la stella polare dei rispettivi allenatori, uno col piglio del condottiero, l’altro col timbro ammirevole del fratello maggiore. La bella Italia del mondiale risultò favorita dall’incrocio di alcuni rivali (Ucraina) e si guadagnò la finale mettendo sotto in casa sua la Germania, il Milan a fatica ha piegato il Celtic prima di spazzare via lo scetticismo con quella lezione inferta al Manchester di Cristiano Ronaldo. C’è un altro legame, tra le due finali, da segnalare: gli azzurri, a Berlino si ritrovarono davanti la sagoma grifagna della Francia, patita a Parigi nel ’98 e poi a Rotterdam nel 2000. Qui molti milanisti toccano ferro quando vedono passare le insegne del Liverpool, incrociato a Istanbul due anni prima, messo in riga con un rotondo 3 a 0 nel primo tempo e poi rivoltatosi come la tigre al suo domatore, con una rimonta conclusa ai rigori. C’è sempre un giorno, nella vita come nello sport, in cui è possibile esorcizzare il tabù, spezzare l’incantesimo.
Il filo, tutt’altro che sottile, che ricongiunge Atene a Berlino, tiene conto anche di alcune differenze. Lippi non si fermò dinanzi alla finale conquistata a Dortmund. «No, non mi accontento, dobbiamo completare l’opera» continuò a ripetere per giorni e giorni fino a martellare il suo spogliatoio. Ancelotti è il ritratto della serenità perché rinvigorito da una sicurezza di cemento armato: non può finire con una seconda beffa. E perciò prepara un’altra partita sullo stampo di quella di Istanbul, col compito dichiarato di giocare al calcio e giocare bene, sottraendosi a ogni calcolo tattico, a ogni mezzuccio dozzinale, rafforzando la linea di centrocampo con Ambrosini. Vuole vincere la settima coppa dei Campioni della storia rossonera senza lasciarsi influenzare dalle macumbe. È il suo limite ma probabilmente la sua straordinaria forza. Il Milan di stasera è meno titolato di quello schierato in Turchia nel 2005: non ci sono Stam in difesa, Crespo e Shevchenko in attacco, ha bisogno di Maldini in difesa per avere un regista e un leader in campo e di Pippo Inzaghi al centro dell’attacco non in brillantissime condizioni, per mettere pressione ai piantoni inglesi. Possono pesare la storia e l’abitudine dei milanisti a vivere eventi così unici: otto finali raccolte nell’era Berlusconi, in 20 anni, sono una cifra da capogiro. Neanche gli inglesi scherzano, al settimo appuntamento con la coppa dalle grandi orecchie. Han perso solo all’Heysel, in quella notte drammatica e indimenticabile. Alla fine sono i due artisti di casa Berlusconi, Kakà e Seedorf, i magnifici eversori del Manchester, a incaricarsi di marcare la differenza e di prolungare la magia del calcio italiano. Partito da molto lontano. Dalla periferia di Düsseldorf, un anno fa, quando Gattuso e Pirlo, Nesta e Gilardino, quattro milanisti doc, si guadagnarono parte del credito che qui possono spendere in una serata da incorniciare. C’è bisogno anche del miglior Dida. La sfida col dirimpettaio Reina sembra decisiva e non solo nell’eventualità dei rigori.
Oggi, all’ora di colazione, spunta ad Atene Silvio Berlusconi, il presidente. Riservata all’ex premier e al suo seguito un’ala dell’albergo scelto dal team italiano. Tocca a lui l’intervento più atteso per ottenere dai fedelissimi del calcio il successo inseguito senza nevrosi dopo una serie di colloqui telefonici mirati, con Ancelotti e Inzaghi gli ultimi in ordine di tempo. «Non si fanno pronostici, si va ad Atene per vincere» ricorda il presidente di passaggio ieri da Lucca per impegni elettorali. «Nel calcio ci sono la classe, la preparazione, la serietà: ci sono anche l’arbitro e la fortuna.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.