Ieri poco dopo le 10, con una specie di blitz, il giudice delle indagini preliminari ha fatto il suo ingresso al carcere di Vigevano a bordo di una vettura della polizia e in velocità, per evitare il muro di giornalisti, cameraman e fotografi. Per rendere il suo accesso ancor più celere era stata bloccata anche la strada provinciale che scorre proprio davanti alla casa circondariale. Pravon ha raggiunto i legali di Stasi, Angelo Giarda e Giuseppe Colli, per un colloquio di appena un’ora. Alberto ha parlato poco durante l’udienza di convalida, ma non si è avvalso della facoltà di non rispondere, come avrebbe potuto. Il giovane si è richiamato soprattutto alla memoria depositata dagli avvocati, ribadendo, ancora una volta, la sua innocenza. Il magistrato dovrà ora decidere entro oggi alle 14, termine imposto dalla legge. In caso di fermo infatti il pm ha 48 ore per chiedere la convalida e altrettante il gip per rispondere, totale quattro giorni a partire dalle 14 di lunedì quando Stasi è finito in manette. La Pravon potrà decidere la custodia cautelare, o gli arresti domiciliari, ma anche la scarcerazione se dovesse considerare inconsistenti i motivi per la custodia cautelare o la prova regina: il Dna di Chiara sui pedali della bici di Alberto.
I legali, dal canto loro, hanno presentato una memoria che punta a ribaltare ogni contraddizione del giovane in elemento a favore. E poi contestano le ragioni dell’incarcerazione, cioè il pericolo di fuga. Secondo gli avvocati dopo l’omicidio è trascorso quasi un mese e mezzo. Se Alberto voleva scappare l’avrebbe fatto da tempo. Poi ci sono le considerazioni dei carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche. Secondo gli inquirenti infatti Stasi, 24 anni, il 13 agosto avrebbe inforcato la bicicletta per raggiungere casa Poggi. Alle 9 e 10 avrebbe ucciso la fidanzata Chiara, 26 anni, quindi con le scarpe sporche di sangue avrebbe pedalato, lasciando abbondanti tracce sui pedali, per fuggire. Nelle ore successive si sarebbe sbarazzato degli abiti e dell’arma del delitto, avrebbe lavato la bici, quindi avrebbe iniziato a preparare la messa in scena della scoperta del cadavere. Che prevedeva una serie di telefonate a cui la ragazza non poteva rispondere, l’arrivo trafelato verso le 14 nella sua abitazione infine la corsa dai carabinieri a denunciare il fatto. Cadendo in una serie di contraddizioni che hanno subito attirato i sospetti su di lui.
Indicazioni sbagliate sulle condizioni del corpo ma soprattutto le scarpe pulite, impossibile se avesse veramente attraversato di fretta la scena del crimine, come ha più volte spiegato e ribadito agli investigatori.
Contraddizioni ma niente prove fino a lunedì 24 settembre, quando gli esperti del Ris scoprono appunto sui pedali della bici copioso, ma non meglio specificato, materiale biologico da cui è stato estratto il Dna della vittima. «Se non è sangue può essere sudore o saliva di Chiara, finiti lì chissà come». Ergo nessuna «pistola fumante».
Ma agli inquirenti hanno ancora un asso nella manica: le tracce di sangue sulle pedivelle e sugli ingranaggi dei pedali.
Inequivocabilmente sangue, come hanno rilevato
appositi accertamenti tecnici. Sangue animale o umano, e nel caso proprio quello di Chiara, lo stabiliranno le analisi iniziate martedì su queste macchioline e che forse oggi dovrebbero concludersi con la risposta definitiva. Ovviamente se quel sangue appartiene a Chiara la posizione di Alberto potrebbe risultare compromessa. Secondo gli esperti del Ris infatti la quantità di materiale biologico trovato è compatibile con una persona che si è ben inzaccherato di sostanza ematica per poi pigiare con foga sui pedali della bici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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