«Gli statali? Ora tirino la cinghia Per loro la crisi è una cuccagna»

Giorgio Guerrini, leader di Confartigianato, voi non siete stati schizzinosi come Confindustria verso la manovra economica del governo.
«Sono le cose che chiediamo da tempo e che la crisi ha accelerato. Fare sacrifici non piace a nessuno, ma nelle aziende come nelle famiglie in certe situazioni è il presupposto del rilancio. Finora i sacrifici maggiori li hanno fatti le imprese e i loro dipendenti: nel 2009 nel solo settore manifatturiero si sono persi 250mila posti di lavoro e ci sono 300mila cassintegrati. Quasi 600mila famiglie con un reddito inferiore a un anno prima e migliaia di imprese che hanno ridotto notevolmente i margini».
Perciò è ora che anche il settore pubblico tiri la cinghia.
«Ora i sacrifici toccano a chi non li ha mai fatti. Gli statali hanno il posto e lo stipendio assicurati. Per loro questa crisi per certi versi è stata una cuccagna: con il costo dei mutui e di certi beni diminuiti, con l’inflazione bassa e gli aumenti salariali garantiti, di fatto il potere d’acquisto di un dipendente pubblico non è diminuito a differenza di uno privato. Perché questa sperequazione? Sono certo che nessuna di quelle 600mila famiglie in difficoltà avrebbe dubbi a mantenere l’attuale reddito per i prossimi tre anni assieme alla sicurezza del posto. La stabilità del lavoro ha un valore altissimo in un momento di crisi».
Ma finora è stato il bilancio pubblico a sostenere le banche e quindi anche il mondo imprenditoriale.
«C’è stata una crisi di liquidità che ha colpito duramente le imprese: moltissime hanno diminuito l’attività, qualcuna ha chiuso. Adesso la crisi di liquidità del settore pubblico deve ricadere ancora sui privati? Quando c’è crisi, aziende e famiglie riducono le spese al minimo per sistemarsi e ripartire: perché non lo deve fare anche lo Stato?».
Tutta Europa ha aumentato il debito pubblico per sostenere l’economia.
«Ovunque, soprattutto in Italia, l’incidenza del settore pubblico rispetto al privato è insostenibile. Non possiamo più mantenere la pletora di enti creati in questi anni, come le settemila società pubbliche locali con decine di migliaia di consiglieri di amministrazioni che scaricano le loro inefficienze su famiglie e imprese. Il costo della sanità ha raggiunto i 50 miliardi di euro: che cosa si aspetta a mettere un freno? E gli invalidi civili, che costano 16 miliardi di euro l’anno?».
Dunque il vostro giudizio sulla manovra è positivo?
«A patto che i sacrifici servano a quello che anche la Marcegaglia ha detto e su cui siamo d’accordo. Cioè a patto che si facciano le riforme strutturali: meno burocrazia, lotta agli sprechi, lotta all’evasione fiscale, investimento nelle infrastrutture, riforma del fisco che non penalizzi il lavoro come accade da troppi anni».
Anche per lei la Cgil difende l'indifendibile?
«La Cgil si sta isolando sempre più, arroccata su posizioni più politiche che di tutela sindacale a differenza delle altre sigle. L’irrigidimento sulle finestre delle pensioni è incomprensibile: non è un grosso sacrificio lavorare per altri sei mesi a retribuzione piena. E nemmeno i dipendenti degli enti inutili rischiano il posto, perché non verranno licenziati ma trasferiti.

Non è giusto che alcuni abbiano tutte le garanzie e altri nessuna. Oggi gli imprenditori, soprattutto piccoli, e i loro dipendenti sono sulla stessa barca: la vera contrapposizione non è tra padroni e operai, ma tra dipendente pubblico e dipendente privato».

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