Gli Stati Uniti corrono più del previsto

Confermata la tenuta dei consumi privati, saliti del 3,5%

Rodolfo Parietti

da Milano

Otto trimestri consecutivi di espansione economica superiore al 3%, una serie positiva che non si verificava dal 1983: è questo il certificato di sana e robusta costituzione esibito dagli Stati Uniti. Uno stato di salute invidiabile, soprattutto se visto dalla sponda malaticcia di Eurolandia, confermato proprio ieri dalla revisione al rialzo del Pil nel primo trimestre 2005 dal 3,5% della stima iniziale al 3,8%.
Il ritocco verso l’alto ha colto in contropiede gli analisti, ma ciò che risulta in una certa qual misura ancora più sorprendente è come l’America ha ottenuto questo risultato, conseguito facendo leva su un incremento dell’export e sulla performance del settore immobiliare, pur restando immune dal virus dell’inflazione nonostante il rincaro dei prezzi petroliferi.
Se si considera quanto il nodo legato al disavanzo della bilancia commerciale sia potenzialmente esplosivo per gli Stati Uniti, dal primo trimestre sono arrivati segnali incoraggianti di un principio di aggiustamento in atto. Il rafforzamento del dollaro non ha penalizzato le esportazioni, cresciute anzi dell’8,9% (più 7,2% nella precedente rilevazione), mentre le importazioni sono aumentate del 9,6% (9,1%): il maggior equilibrio tra import ed export ha permesso di contenere in 0,58 punti percentuali il “danno” arrecato al Pil dalla bilancia commerciale rispetto agli 0,67 punti della stima precedente.
La revisione al rialzo della crescita economica tra gennaio e marzo è attribuibile anche alla fase espansiva del mercato immobiliare. Qui non si intravedono cedimenti che potrebbero lasciar presagire un’imminente inversione di tendenza, estremamente pericolosa se i prezzi dovessero di colpo crollare. Gli investimenti nel mattone sono infatti cresciuti dell’11,5%, un valore nettamente superiore all’8,8% calcolato preliminarmente. Il fenomeno è frutto evidentemente del basso costo dei mutui immobiliari, inchiodato sotto la soglia del 6%, ma sembra non avere ripercussioni sull’inflazione. Per la verità, i prezzi delle abitazioni monofamiliari sono all’origine del ritocco verso il basso del deflatore della spesa per consumi (al 2% annualizzato dal 2,2% iniziale), un indice attentamente monitorato dalla Federal Reserve.


L’America non soffre insomma di tensioni inflazionistiche pur in presenza di quotazioni del petrolio elevate, né si può lamentare dell’andamento dei consumi privati, scesi sì rispetto al 4,3% dell’ultimo trimestre 2004 ma ancora robusti come testimonia il più 3,5% del primo trimestre (dato invariato rispetto alla prima rilevazione); i risultati delle imprese sono inoltre incoraggianti, con gli utili saliti del 6% contro il 4,5% della stima precedente nonostante il maggior impulso dato agli investimenti (più 4,1%). La prossima pubblicazione della stima preliminare relativa al secondo trimestre dirà se l’America ha mantenuto questo passo o se ha rallentato la marcia.

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