Gli Stati Uniti «traditi» da Ge

da Milano

Entro i prossimi tre anni, General Electric, uno dei colossi industriali degli Stati Uniti, trasferirà gran parte della sua produzione al di fuori del territorio Usa. Secondo quanto riporta il Financial Times, gli stabilimenti saranno soprattutto in Cina e in India ma, nell’ottica di minimizzare i costi di produzione, punterà anche sull'Europa dell'Est e in generale su altri Paesi asiatici.
A dare la notizia sono stati gli stessi dirigenti della conglomerata che hanno reso noto che la quota della produzione realizzata fuori dagli Stati Uniti salirà dall'attuale 41% a un livello superiore al 50. I vertici hanno motivato la loro decisione con l'esigenza di alimentare la crescita del giro d'affari, diminuire i costi ed essere più vicini ai clienti.
Ha detto Keith Sherin, dirigente finanziario di Ge: «Siamo una società globale; dovremo avere una catena che rifletta la nostra clientela». La manovra potrebbe tuttavia scontrarsi con la posizione di molti politici e degli stessi sindacati, contrari a una decisione che potrebbe tradursi in una perdita di lavoro negli Stati Uniti. Sebbene più della metà del fatturato di 150 miliardi di dollari di Ge derivi dal resto del mondo, oggi la conglomerata continua a essere considerata una società ben radicata nel territorio nazionale, dove dà lavoro a più di 160mila dipendenti.
Ma è proprio questa l’immagine di Ge che presto potrebbe cambiare. Il colosso ha messo a punto un piano per aumentare il livello dei suoi profitti di almeno 10 centesimi per azione all'anno.

Ed è sulla base di questo obiettivo che l'amministratore delegato di Ge, Jeffrey Immelt, ha deciso di lanciare una massiccia campagna di supervisione delle pratiche di business, tese appunto a migliorare i margini e ridurre i costi.

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