Lo Stato dovrà risarcire le vittime se il colpevole non paga di tasca sua

Un legale cita in giudizio mezzo governo italiano: «Disattesa una direttiva Ue del 2004 che garantisce un indennizzo a chi ha subìto un torto»

da Milano

Due omicidi: uno a Sondrio e l’altro a Monza. Una donna, Sonia Di Gregorio, ammazzata a coltellate dal marito nel 2000; un uomo, Giuseppe Deni, eliminato da un conoscente nel 2004. Tragedie. Drammi che purtroppo non si sono conclusi con le condanne degli assassini. Per i parenti il seguito è stato umiliante. La giustizia in entrambi i casi aveva stabilito un risarcimento adeguato per le parti civili, ma alla fine non è saltato fuori nemmeno un euro. E allora l’avvocato Claudio Defilippi ha deciso di percorrere una strada che potrebbe portare molto lontano: ha citato in giudizio, davanti al tribunale di Roma, la presidenza del Consiglio dei ministri e i ministeri dell’Economia e della Giustizia. L’arma segreta nelle mani del penalista è una direttiva della Ue, la 80 del 2004, che l’Italia ha dimenticato in qualche cassetto. «Questa direttiva - spiega il penalista - è uno strumento straordinario di civiltà. La legge dice infatti che se l’autore di un reato violento non ha risarcito la vittima o i suoi congiunti in caso di morte, allora dev’essere lo Stato a pagare. Di più, lo stesso meccanismo funziona se il responsabile dell’omicidio o del sequestro o dello stupro non viene scoperto».
Una rivoluzione, come si vede, già realtà in alcuni Paesi europei. «Da noi - riprende Defilippi - la norma è stata semplicemente trascurata, ma ormai i tempi di applicazione previsti dal legislatore europeo sono scaduti. Noi pensiamo che la misura sia colma».
Dunque, le cause pilota sono partite al tribunale di Roma. «Naturalmente - aggiunge Defilippi - l’Europa non prevede un vero e proprio risarcimento ma un indennizzo e quindi riconosce un importo inferiore a quello concesso usualmente alle parti civili. Ma il principio è chiarissimo e io ritengo che la direttiva avrà un impatto devastante sul sistema italiano».
«Mia figlia Sonia - racconta Paolo Di Gregorio - aveva vent’anni appena compiuti. Il marito le ha tagliato la gola: era la mattina del 21 gennaio 2000. Dopo alterne vicende, l’hanno condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere più tre di ospedale psichiatrico giudiziario. I giudici avevano stabilito risarcimenti importanti per tutte le persone che hanno sofferto». Un lungo elenco: «Un milione di euro per la nipotina, che ora vive con me e mia moglie, 150mila euro per gli altri familiari». Ma le cose sono andate in un altro modo: «Non abbiamo visto un euro. In compenso io ho dovuto chiudere il mio negozio per fronteggiare le spese: spese per gli avvocati, spese per il tribunale, spese per la nipotina, spese su spese. E poi a ottobre scorso ho subito la beffa finale: quell’uomo è uscito prima, grazie all’indulto, e incredibilmente è tornato libero. Sì, libero, perché si sono dimenticati di mandarlo all’ospedale psichiatrico. Siamo scappati dalla nostra casa di Cino, vicino Sondrio, come fossimo noi gli assassini; noi siamo fuggiti per la paura di rivedere quel tizio in giro. In seguito hanno rimediato e spedito il killer in un ospedale psichiatrico giudiziario».
Di Gregorio parla a fatica, la voce rotta dall’emozione e dall’indignazione: «Per fortuna ho incrociato l’avvocato Defilippi e lui mi ha prospettato questa causa a Roma. Ho accettato sperando di fare da battistrada per quelli che verranno dopo. Lo Stato non può fingere di ignorare il nostro dramma, o peggio, trattare questa vicenda con imbarazzante superficialità. Per questo abbiamo chiesto un indennizzo di 180mila euro. Non sarà il milione e passa che ci spetta, ma è sempre un segno di giustizia. E un riconoscimento delle nostre sofferenze».


Stesso copione per la vicenda Deni: per un certo periodo il killer è sparito dalla circolazione e dalla latitanza ha ceduto ad altri i suoi beni. Risultato: la vedova, i tre figli e i fratelli della vittima non hanno ricevuto un solo euro. Ora potrebbe essere lo Stato a mettere mano al portafoglio.

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