«È stato terribile, sembrava l’inferno»

Un testimone: «Da anni non vedevo un katiuscia sulle nostre case». Sul web esperti danno consigli per proteggere i bambini

Mara Vigevani

da Gerusalemme

Le televisioni e le radio interrompono i programmi, i giornali usano i toni riservati agli eventi più tragici. In Israele la gente non ha alcun dubbio: c’è la guerra. Nessuno si sente più sicuro. Persino nel Carmiel, alla periferia di Haifa, i militari hanno ordinato ai civili di ritirarsi nei bunker anti katiuscia. Zfat, Naharyia, città che avevano ormai dimenticato cosa significa la paura della guerra e dei katiuscia, si sono risvegliate in un terribile incubo. David Ben Shimon vive a Zfat e si trovava in un ristorante quando uno dei missili è caduto nelle vicinanze: «Ero con un gruppo di turisti americani a cui stavo illustrando le bellezze di Zfat - racconta -, quando abbiamo sentito un tremendo scoppio. Ci siamo riparati subito sotto i tavoli, ho cercato di tranquillizzare tutti, spiegando che si trattava di un katiuscia e che saremmo subito corsi verso un rifugio. Lo spavento è stato terribile. Erano decenni che la mia città non veniva attaccata dai katiuscia. Ormai tutto il Paese è in pericolo. Ci attaccano da Gaza e dal Libano, i loro missili possono arrivare ovunque».
Per molti è impensabile immaginare Zfat, la città dei grandi rabbini, dei filosofi, di coloro che cercano la pace dei sensi, culla della meditazione e della spiritualità, colpita dai razzi. «Ho sentito dei lunghi fischi e poi un fortissimo boato», racconta Kobi Levinger, che si trovava nella biblioteca di Zfat quando lo scoppio di un katiuscia lo ha ferito leggermente: «Sono corso fuori e ho visto altri due feriti, per fortuna non in modo grave, ma è stato terribile. Sembrava l’inferno. Mai, nemmeno nei momenti più pericolosi, avrei immaginato che la nostra biblioteca potesse essere colpita dai katiuscia».
Sui giornali, sui siti internet e alla televisione, esperti cercano di aiutare genitori e bambini a superare questi momenti difficili, sia nel nord sia nel sud del Paese. Orna Knaian, una educatrice residente nell’Alta Galilea, spiega: «Ricordatevi, cari genitori, i bambini sui tre, quattro anni sanno già cosa significano le parole katiuscia, Hezbollah, Hamasa. Sanno che il nostro Paese è circondato da Paesi nemici, ma la cosa più importante è spiegare ai nostri piccoli che ci sono anche i soldati che ci proteggono, e per questo devono sentirsi al sicuro». «Se i bambini si sentono protetti dai genitori e dai soldati - continua la Knaian -, anche gli avvenimenti più traumatici non lasceranno segni. Per chi deve scendere nei bunker è importante portare giochi come bambole, attraverso cui i bambini possono raccontare le loro paure, e pennarelli per disegnare i loro sentimenti».
E nella serata di ieri anche la calma cittadina di Rosh Pina - la cittadina, che accoglie turismo locale in tutte le stagioni dell’anno grazie ai numerosi zimmer di legno, alle romantiche locande e ai paesaggi verdi del nord della Galilea - è stata colpita, anche se senza vittime. «Da tempo avevamo previsto di passare un romantico weekend nello zimmer - raccontano Tamy e Miky, una giovane coppia di Gerusalemme -. Avevamo scelto Bait Ha Katan, la «piccola casa», ora abbiamo annullato tutto».
Molti abitanti dei centri minacciati hanno cominciato ad abbandonare le loro case per trasferirsi in località più sicure.

In tutti i centri minacciati dell’Alta Galilea la popolazione è scesa nei rifugi, e negli ospedali i degenti sono stati trasferiti in aree protette. Misure di precauzione sono state inoltre adottate in località situate a maggiore distanza dal confine, nel timore di un possibile impiego da parte degli Hezbollah di razzi con un più ampio raggio d’azione.

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