«Stavolta cambieremo la Costituzione La Padania è destino»

Il Senatùr davanti al Parlamento del Nord: «Vinceremo le elezioni e l’Italia sarà federalista. Sarà l’ultima volta che tenteremo la via democratica, a qualsiasi costo»

nostro inviato a Vicenza

La voce è quella che è, ma Umberto Bossi si fa capire benissimo. Appena il tempo di ascoltare Miss Camicia Verde Zuleika Morsut che intona il Va’ pensiero, e nel salone della fiera di Vicenza scatta l’affondo del leader. «Vinceremo le elezioni, dopo di che cambieremo la Costituzione in senso federalista». E subito: «Sarà l’ultima volta che la Lega tenterà per via democratica. Se, come l’altra volta, i partiti racconteranno bugie sulla devoluzione per non cambiare niente, questo Parlamento (quello del Nord, ndr) si muoverà in un’altra direzione seguendo la via della lotta per la libertà».
Par di capire che questa direzione, di lotta e non più di governo, non dovrebbe seguire la via democratica. Il Senatur però non lo dice. E Maroni, presidente del Parlamento del Nord e dunque ieri padrone di casa, puntualizza che «la Lega cercherà di attuare il proprio programma con ogni mezzo lecito consentito dalla democrazia». Ma Bossi insiste molto sull’idea di rivoluzione, ripete che «milioni di uomini della Padania sono pronti a combattere per la loro libertà», che «questo blocco sociale, come lo chiamava Gianfranco Miglio, è imbattibile e inarrestabile». «Siamo pericolosi come lo sono tutti i popoli cui è negata la libertà. Lombardi e veneti non sono nati per sottostare alla schiavitù romana».
Bossi usa toni quasi epici, come gli succede sempre più spesso negli ultimi mesi. La Padania, che storicamente non è mai esistita, diventa il totem che avrebbe fermato Napoleone e ha fatto vincere la Prima guerra mondiale. Più che un leader politico il Senatur sembra un capo indiano, un condottiero che scuote la sua gente con la forza delle utopie. «Se un uomo sogna da solo, il suo resta un sogno; se tanti uomini sognano assieme cambia il mondo», dice citando il Nobel tedesco Günter Grass (in realtà è un proverbio brasiliano).
Sogni, ideali, speranze. Abbandonati i toni duri di quando i leghisti urlavano «secessione», riposte le minacce bellicose dei «patrioti armati», la Padania non è più una entità territoriale e politica da imporre, ma uno sbocco inevitabile della storia. «La Padania è destino. Verrà - profetizza Bossi -. I padani hanno la forza per conquistare la loro libertà davanti al mondo. Tutti speriamo che ciò avverrà democraticamente. Ma lo faremo a qualsiasi costo, anche della vita. E io arriverò a vedere il Parlamento del Nord fare le leggi vere. Cari fratelli, assieme vedremo la liberazione della nostra terra».
Bossi resta tuttavia anche uno con i piedi ben piantati a terra. Non scende nel dettaglio dei programmi, ma è lui a correggere il tiro sulle cosiddette euroregioni, richiamando all’ordine anche i leghisti veneti e friul-giuliani che appoggiano il progetto Illy-Galan di aggregazione tra Veneto, Friuli, Carinzia e Slovenia: «Divide la Padania, quindi va fermato». E quando Roberto Calderoli sbotta chiedendo di fissare «la scadenza del 15 giugno perché il nuovo governo approvi il federalismo fiscale, altrimenti andremo sul Po e non torneremo più indietro», il numero uno della Lega raffredda i facili entusiasmi. «Temporizzare va bene, ma alla fine contano i numeri - sentenzia -. Conta il risultato elettorale, quanti e quali uomini avremo in Parlamento, che forza avranno. Possiamo dire quello che vogliamo, ma prima dobbiamo avere un forte risultato elettorale. Un po’ siamo avvantaggiati. Primo, perché ha governato Prodi. Secondo, perché uno che ha fatto il sindaco di Roma qui al Nord di voti ne prende pochini».
Così, tra grandi utopie e dure realtà, parte la campagna elettorale della Lega Nord.

Sul maxischermo della fiera scorrono foto vecchie di almeno 15 anni di Umberto Bossi con Gianfranco Miglio, un politico allora giovane a braccetto di un anziano costituzionalista scomparso sette anni fa. Un passato che il Carroccio cerca in tutti i modi di far ritornare.

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