Stavolta l’errore lo fa la Ferrari: «Siamo stati troppo presuntuosi»

nostro inviato a Sepang

«Abbiamo commesso un errore di presunzione». Così, con mesta franchezza, la Ferrari ha definito il proprio errore, svarione e pasticcio in qualifica. Risultato, la corsa della Rossa è ora tutta in salita e quella di Massa è molto rovinata. Si salva solo Raikkonen, nono ma poi graziato di due posizioni grazie alle penalità inflitte a Barrichello (meno cinque posti per sostituzione del cambio) e a Vettel (meno dieci per l’incidente di Melbourne). Dirà Kimi: «Cosa non andava? Semplice, non eravamo abbastanza veloci, dobbiamo lavorare e sperare che qualcosa cambi sulla questione dei diffusori dei tre team...». Quelli per cui la Ferrari andrà in appello a Parigi assieme a Renault, Red Bull e, da ieri, anche Bmw. Quelli che ieri l’hanno di nuovo fatta da padroni.
Sì, perché l’Italia è nelle mani di Trulli secondo su Toyota con diffusore furbetto: «Proverò a vincere, la F1 è bella anche se cambiano le gerarchie, al vertice non possono esserci sempre i soliti...», la sua stoccata; sì, perché quel belloccio di Button vola con la Brawn Gp furbetta e incassa la seconda pole di fila e, a chi gli chiede se abbia ormai scalzato Hamilton dal piedistallo d’Oltre Manica, risponde: «Non m’interessa essere il più amato nel mio Paese, voglio essere il più forte di tutti». Sì, perché il suo compagno Barrichello, retrocessione a parte, vola con lui.
Ma è Felipe, purtroppo, l’uomo del giorno, in quanto il peccato di presunzione ha penalizzato soprattutto lui. «Più che arrabbiato sono deluso: t’arrabbi quando finisci sedicesimo perché più di quello la macchina non può dare; invece ti fa male quando concludi sedicesimo perché resti fermo ai box per colpa di un tentativo in meno (con la retrocessione di Barrichello e di Vettel guadagnerà comunque due posizioni, ndr)». Prosegue: «Certo, io non ho fatto il giro ideale però era dignitoso, ma il problema è che abbiamo pensato che il tempo realizzato fosse sufficiente per restare nei primi quindici che accedono al Q1. Invece non lo era, e quando l’abbiamo capito era troppo tardi per recuperare». Prende fiato. «La verità è che dobbiamo cambiare mentalità, non è più come una volta, non abbiamo la macchina super che ci dava un tale vantaggio per cui entravamo in pista e via, facevamo subito il tempo. Adesso è diverso per via delle regole cambiate, siamo tutti molto più vicini... Speravo che fossimo da primi cinque, e invece siamo da primi sette. Ora mi affido soprattutto alla lotteria della pioggia (è attesa a secchiate, ndr)».
Cambiare mentalità, dunque, perché in questo momento la Ferrari deve cominciare a ragionare anche da neopromossa che lotta per la salvezza e non più solo da grande che domina. «Chi ha sbagliato? Siamo una squadra – chiude il discorso Felipe -, non c’è solo una persona, ci sono io, il mio ingegnere, quelli del muretto, quelli che fanno la strategia, tutti».

Ovvio, il dito accusatore per l’errore punta verso il muretto, verso gli uomini che decidono le strategia, ma tant’è: qui non ci si comporta come in altri team dove si accusa facendo nome e cognome, qui è sempre tutti per uno e uno per tutti. Quando si vola e, di questi tempi, soprattutto quando si affonda.

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