Come separati in casa. Incapaci di parlare la stessa lingua. Sotto la dimora comune del G7, le divergenze tra Stati Uniti ed Eurolandia si accentuano e scavano solchi. Anche se il problema da risolvere è lo stesso per entrambi: la crisi. Crisi perfino «più forte di quella che scatenò la Grande depressione», si è lasciato sfuggire il ministro del Tesoro americano, Tim Geithner, non appena messo piede a Marsiglia, dove il vertice ha preso le mosse ieri (per lItalia presenti Giulio Tremonti e Mario Draghi, in qualità di numero uno del Consiglio per la stabilità finanziaria). Il momento richiederebbe coesione e unità dintenti, per rassicurare mercati da ieri ancor più terrorizzati dopo il terremoto alla Bce. Invece, si va in direzione ostinata e contraria: oggi, al termine del summit, i sette grandi non scriveranno alcun comunicato finale. Brutto segno, perchè significa che non cè condivisione sulle ricette necessarie per contrastare lemergenza.
È insomma un muoversi in ordine sparso, ciascuno per conto proprio. LAmerica si è presentata in Provenza con lancora fresca eco del piano da 447 miliardi di dollari con cui Barack Obama intende dare lelettrochoc a uneconomia fiaccata, con troppi disoccupati e pochi consumi privati. Una congiuntura-killer per chi vorrebbe occupare la Casa Bianca per un altro mandato. Obama punta su un ventaglio di misure, il cui fulcro sono i 245 miliardi di tagli alle tasse, con sgravi dedicati (per 65 miliardi) soprattutto alla piccola impresa grazie ai quali si spera di riavviare il motore delle assunzioni. E poi, «più denaro nelle tasche di ogni lavoratore e ogni famiglia», con il dimezzamento dei contributi pagati dai lavoratori dipendenti nel 2012, cioè 1.500 dollari in meno; più investimenti nelle infrastrutture dei trasporti, scuole pubbliche più moderne, sussidi di disoccupazione riformati nel segno della flessibilità e crediti di imposta di 4mila dollari agli imprenditori che assumono disoccupati di lungo termine.
Accolto con scetticismo dai mercati, il cui timore è che nel passaggio al Congresso si consumi un altro braccio di ferro come quello di agosto sul rifinanziamento del debito federale, il piano di stimolo piace invece al Fondo monetario internazionale. Basta ascoltare la neo-leader del Fmi, Christine Lagarde: «I Paesi devono agire subito e agire in modo deciso» per aiutare leconomia mondiale. «Salutiamo - ha aggiunto Lagarde - le proposte annunciate dal presidente Obama che si concentrano sul sostegno alla crescita e alla creazione di posti di lavoro nel breve termine». La cura da seguire è insomma quella a stelle e strisce. Peccato però che lEuropa debba - sempre parole del direttore del Fmi - «affrontare due enormi sfide collegate tra loro per la ripresa: il rischio del debito sovrano e quello che coinvolge le banche». Un bel dilemma. Tanto è vero che Nicolas Sarkozy, connazionale della Lagarde, ha subito messo le mani avanti: il piano Obama va bene, ma «difficilmente lEuropa seguirà una simile politica».
Con queste carte sul tavolo, trovare un accordo condiviso è dura. Ma già alla vigilia del G7 le premesse non erano peraltro incoraggianti: Geithner aveva chiesto agli europei di prendere ulteriori misure per rassicurare sulla loro capacità di fronteggiare la crisi del debito sovrano, mentre lEuropa aveva fatto rimbalzare laccusa di aver messo a repentaglio la stabilità globale prima con gli eccessi bancari e finanziari e poi con la pantomima sul debito. Ieri Geithner ha rincarato la dose, imputando alla crisi europea le cause del rallentamento delleconomia globale e chiamando in causa «i Paesi più forti delleuro zona», con chiaro riferimento alla Germania, dal momento che è «nelle loro possibilità risolvere i costi della crisi». Come se non bastasse, si litiga anche allinterno del Vecchio continente: la Gran Bretagna ha di nuovo bocciato lidea franco-tedesca di tassare le transazioni finanziarie, nonostante Parigi e Berlino abbiano ammorbidito la proposta.
Il vertice può dunque trasformarsi in un buco nellacqua, quando invece le aspettative erano ben altre e più alte.
Oggi il G7 chiude le danze. Con il rischio che lunedì a ballare, ancora una volta, siano i mercati.
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