Di cognome fa Lucidi. Ma solo di cognome, dice chi lo conosce bene. In Questura lo avevano schedato come tossicodipendente. Tipetto brusco, talvolta violento, di quelli che alzano volentieri la voce col prossimo e le mani sulla fidanzata, che però evidentemente ci sta, e dunque affari suoi, di lei. Finché ci sta, naturalmente.
Stefano Lucidi, dunque, 35 anni, tossicodipendente con precedenti per lesioni e interdetto alla guida. Interdetto anche a frequentare i campi di calcio. Un ultrà della Lazio, di quelli che la domenica vanno allo stadio come se andassero in guerra, gonfi di birra, la testa affumicata dalle canne, se non da qualcosa di più tosto. Di quelli che si rintontoniscono di alcool prima della partita e poi saltano come automi per tutto il tempo, urlando slogan a squarciagola e sparando petardi, e del bel gioco chi se ne frega, mica si va allo stadio per vedere la partita. Si va per vincere, e per menare le mani, e per spaccare la faccia agli avversari, se capitano a tiro, perché così è fatta la domenica, e magari anche il mercoledì sera.
«Uno pericoloso», dicono in Questura. Un interdetto, un disturbato mentale forse; di sicuro un arrogante di quelli che se ne fregano se gli ritirano la patente. Tanto c'è sempre la Mercedes 220 del papà ingegnere pronta all'uscio, e a uno come il Lucidi che gli dice di no? Chi gli ha mai detto di no?
Raccontano che fosse «fatto» anche la sera di giovedì, e che insomma, un po' la testa via per la droga, un po' un litigio con la fidanzata che gli sedeva accanto, ecco che il Lucidi, ma solo di cognome, ammazza due ragazzi in motorino. Mica ha fatto apposta, ci mancherebbe. E anzi gli dispiace un sacco, ha detto al magistrato che lo ha interrogato per cinque ore. E piangeva, durante la confessione, come no? E la sua ragazza? Questa ventisettenne figlia dell'ex bomber della Lazio Bruno Giordano? Che tipo è; che tipo può essere una ragazza che va per i trenta che non sente il bisogno di chiamare subito i carabinieri e raccontare quello che è successo? Dicono che qualche problema con la droga ce l'avesse anche lei, ma qualcuno sostiene che aveva cominciato a «farsi» per amore di Stefano, che non aveva mai acquisito alcuna dipendenza e che anzi stesse facendo di tutto per aiutare Stefano a smettere. Forse è di questo che stavano parlando, l'altra sera, in auto. Lei insiste, lo implora, piange. E Stefano invece grida, s’incazza, la minaccia, fa andare le mani, le dice che se non la smette la butta fuori dall'auto. Ecco, se fosse andata così, con lui che in un momento di rabbia scarta le auto che si trova davanti e passa col rosso, la testa e i pensieri annebbiati: se fosse andata così si potrebbe almeno spendere una parola buona per lei, che di sventura ha già avuto quella di innamorarsi di uno come il Lucidi. Ma lui? Uno che pensa di disporre anche della vita altrui, e una sera di maggio se ne va a cento all'ora per Roma, senza patente, e pensa che tanto, chi se ne frega?
Due coppie. La coppia dei buoni che muore, perché nella vita non è mai come al cinema, e sono sempre i buoni che pagano pegno. Poi c’è l'altra coppia, quella che non si riesce neppure a definire la coppia dei cattivi, perché forse sono solo due sventurati, lei più di lui, lui più di lei. E insomma sono altre due vite sgangherate.
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