Le stelle vittime della sindrome di Ibra. Così cambia il calcio

Messi ancora a secco, idem Torres, Ronaldo fuori con solo un rocambolesco gol all’attivo. E intanto l’Oriente cresce

Le stelle vittime della sindrome di Ibra. Così cambia il calcio

E al ventesimo giorno Blatter si riposò. Dico del calendario di questo mondiale. Qualsiasi riferimento alla divinità che governa il football è puramente voluto. Dice: ma non hai letto che sta aprendo alle tecnologie? Rispondo: ma vi siete dimenticati quello che aveva detto un mese prima del mondiale medesimo? No a qualunque cambiamento, no alle telecamere, no al microchip, avanti così, per sempre.
Tra un mese lo ribadirà, adesso gli torna comodo chiedere scusa all’Inghilterra e al Messico, tanto per non rovinarsi la piazza e scaricare tutte le colpe sugli arbitri. Adesso gli viene comodo dire che si può riflettere sulle nuove tecnologie ma sarebbe come chiedere a un politico italiano di dire la verità. E allora? Allora dopo venti giorni si può fare un primo bilancio di questo torneo, al di là di Jabulani, degli arbitri e delle promesse elettorali del capo divino.
Un dato è certissimo: Rooney non ha segnato la miseria di un gol. Lo stesso ha fatto, finora, Messi. Idem come sopra per Torres. A essere perfidi si può aggiungere Cristiano Ronaldo che ha sputato alla telecamera, questo sì, ha segnato un gol, ma ve lo ricordate e a chi? Una carambola da scherzi a parte, il pallone che rimbalza sulla testa, come al circo, e lui che alla fine riesce a fare gol ma ai coreani del regime democratico, quelli del Nord intendo, una rete delle sette nel gabellino portoghese ma prima e dopo, zeru gol, direbbe il suo compatriota Mourinho, di cui non si sente il fiato da molto tempo.
I grandi hanno dunque tradito, si potrebbe dire che la sindrome di Zlatan, al secolo Ibrahimovic, si sta diffondendo, eroi in casa, fantasmi fuori. Messi ha ancora qualche possibilità, incominciando dalla partita con la Germania che potrebbe, tuttavia, essere anche l’ultima. Forse i protagonisti del nostro football continentale arrivano stanchi e logori al torneo che occupa, sul calendario, il periodo peggiore ma così è. I grandi hanno finora tradito, soltanto Maradona ha ribadito di essere un fenomeno, travestito da Nino Frassica a bordo campo sembra che sia lui l’artefice di questa Argentina ma qualcuno ritiene che ad allenatori incrociati, Capello con l’albiceleste e Diego Armando con i tre leoni, i prodotti cambierebbero radicalmente?
Bocciati francesi e italiani, ribocciati gli inglesi che, stando alle fotografie pubblicate ieri da alcuni tabloid, se la sono spassata nel dopo partita con sigari Havana, birre e tabacchi vari, l’Europa si difende con i suoi nuovi «brasiliani», cioè gli olandesi non più arancia meccanica ma una squadra con genialità e freschezza, nella quale l’arte di Schneijder e di Robben può portare a qualunque risultato proprio contro i brasiliani di origine controllata, quelli di Dunga che dovrebbe aver capito che senza Felipe Melo il Brasile può essere esacampeon. Bene l’Uruguay che rilancia una ditta antica, là è nata la coppa del mondo, là è la storia, il fascino del gioco. Tabarez ha già dato al nostro calcio altrimenti oggi qualcuno andrebbe a inseguirlo per riportarlo in Italia. Il Giappone è uscito in una partitaccia ma continua a crescere, la Corea viaggia velocissima ma non ha ancora trovato così come il Giappone, un grande centravanti che faccia cambiare la storia, il continente asiatico, comunque, è sveglio, non più facile materasso per gli allenamenti dei grandi.
Bene il Messico giovanissimo, come il Cile jellato dalle squalifiche e così come gli Stati Uniti che non sono più un luna park divertente, insomma l’ America non è soltanto Argentina e Brasile.
È la Germania a confermarsi ma cambiando filosofia e pratica, abbandonando le sturmtruppen che vanno avanti a testa bassa, attingendo invece a una nuova banca tecnica, alla qualità, ai naturalizzati, a quelli giovani e bravi, merce ormai rarissima in altre realtà continentali.

Il loro vantaggio e il nostro handicap, la loro idea è la nostra arretratezza.
Era scomparsa l’Europa dell’Est in fase di qualificazione ma è stata sufficiente la presenza della Slovacchia, più della Slovenia, per rispedirci a casa.

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