Stiamo attenti, con l’Islam non si scherza

Mi permetto di mandarle un piccolo contributo al suo dossier sui rapporti storici fra Islam e Cristianità. È tratto dal Morgante di Luigi Pulci, cantare XII, ottava 64. Orlando ha sopraffatto un cavaliere musulmano (cioè «pagano», come si diceva allora correntemente, si può immaginare con quale effetto sui musulmani che fossero venuti a saperlo), e apostrofa così il morente: «Macometto t’aspetta nello ’nferno cogli altri matti che van dietro a lui, dove tu arderai nel foco etterno, giù negli abissi dolorosi e bui». Al che il «pagano» si affretta terrorizzato a chiedere il battesimo e tutto finisce bene: insomma, l’unico musulmano buono è un musulmano convertito dopo essere stato ferito a morte da un campione cristiano. Cose che bisogna pur ricordare! Con cordiali saluti e simpatia.
Erano tempi in cui si andava per le spicce, caro Janni. Tempi in cui nessuno stava lì a menarla col dialogo, con la società multietnica, con il confronto e l’Islam moderato. Tempi in cui non si stava tanto ad arzigogolare da quale parte stare: i buoni erano i buoni, i cattivi i cattivi. E il nemico era il nemico. Gli intellettuali d’allora non facevano sconti e se uno come il Pulci ci andava con mano leggera, scherzosa, un altro come Dante picchiava duro. Prenda la Divina Commedia e si rilegga - ventottesimo Canto dell’Inferno - la fine che il Sommo Poeta fa fare a Maometto: «rotto dal mento infin dove si trulla» (vocabolo che attiene al meteorismo, per capirci). Ovvero spaccato a metà, con le minugia, le budella, che gli pendevano fra le gambe. Mica no. E Alì, il genero del Profeta, quello che diede corso alla fazione sciita, «fesso nel volto dal mento al ciuffetto», con la testa spaccata in due. Tanto piacque a li maggior nostri la fine così politicamente scorretta che Dante fece fare a Maometto - giù negli inferi! E trinciato come un pollo! - che se ne fecero delle rappresentazioni pittoriche. Qualche anno fa, uno di queste ebbe gli onori della cronaca. Si trova nella basilica di San Petronio, a Bologna (navata di sinistra, sulla parete della Cappella Bolognini). Dipinto nel 1415 l’affresco raffigura il Profeta che rosola, conciato com’è conciato, nelle fiamme dell’inferno. Nell’agosto del 2002 fu fatto oggetto dell’attenzione di quattro bravi islamici.
Poiché, non accontentandosi di guardare, si premunirono di filmare il tutto con una videocamera fornita di microfono, conosciamo il tenore della loro irreprensibile conversazione: «Eccolo qua dove lo hanno messo (Maometto)», sbotta uno. E aggiunge: «Sai cosa ha detto l’idolo (Bin Laden)? Che se non lo tirano via butterà giù tutto». «Giura!», esclama un compare. «Te lo giuro sul nome di Allah». E l’altro: «Quello che fa Bin Laden è quello che ci vuole in questo momento». Poi, mentre inquadrano un crocefisso: «Guarda la m... che loro pregano. Che Allah lo butti giù, andrà tutto giù». Al termine del tour turistico, uno si preoccupa: «Hai filmato tutto?». E l’altro: «Sì, non preoccuparti, con l’Islam non si scherza. Adesso mettiti là che faccio finta di filmarti per non sollevare sospetti». Mentre escono, qualcuno della comitiva osserva che «qua è meglio venire presto, verso le sette e mezzo del mattino». Chissà perché, eh? Fermati da due agenti insospettiti dai loro traffici, i quattro stimati marocchini sono poi stati rilasciati dall’autorità giudiziaria. Chissà come sarà stato contento l’idolo, Osama Bin Laden. O chi ne fa le veci.
Paolo Granzotto

Ps: credo che ormai la IX sura del Corano sia stata imparata a memoria. Tuttavia - la prudenza non è mai troppa - la trascrivo per l’ultima (per ora) volta: «Annuncia a coloro che non credono un doloroso castigo.

Quando siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori, ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati».

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