Gli stilisti diventano realisti Finisce l’era degli eccessi

Moda uomo a Milano: modelli più classici e sobri, ma senza perdere la creatività. Armani stringe i pantaloni e Cavalli si ispira ai western

Gli stilisti diventano realisti 
Finisce l’era degli eccessi

Milano - La crisi come opportunità, lo spauracchio della recessione come presa di coscienza degli errori da evitare per costruire un futuro migliore. Si può anche leggere così quel che sta succedendo sulle passerelle di Milano dove sono in corso le sfilate maschili per l’inverno 2010. Gli stilisti sembrano finalmente atterrati sul pianeta terra. Spariscono gli eccessi che in molti casi nascondono un vuoto creativo, ma non si cade nella noia di una proposta anonima e troppo prudente. «Ho fatto il classico a modo mio», dice Miuccia Prada, testa pensante per antonomasia di questo mondo che troppo spesso finge d’ignorare il mondo fuori dalla moda. «Avrei voluto fare una sfilata di rottura, molto artistica e senza complessi come in fondo sono io, ma non è proprio il momento delle esagerazioni: bisogna proporre cose vere e plausibili anche perché l’uomo difficilmente cambia immagine, ha poca voglia di osare», afferma invece Cavalli poco prima di presentare una superba collezione che in qualche modo anticipa l’uscita del film Appaloosa di Ed Harris in cui Viggo Mortensen, René Zellweger e Jeremy Irons danno vita a quello che sul New York Times è definito come «il western più divertente ed elegante del terzo millennio». Attenzione, però, dallo stile cow boy il designer toscano si limita a prendere qualche dettaglio: uno per tutti il disegno dei tappeti Navajo riprodotto sui perfetti pantaloni da biker. Così non mancano i magnifici cappotti sartoriali però realizzati in tessuti con aspetto animalier, sotto agli impeccabili completi da business man compaiono camicie oppure sottili pullover decorati da borchie, mentre i calzoni di linea stretta e gli spettacolari maglioni decorati da rombi in cavallino si limitano ad alludere alla selvaggeria del West.

Diversa ma altrettanto riuscita la collezione di Bottega Veneta disegnata da Tomas Maier che ha declinato la vestibilità del cardigan con sinfonie di tinte tra osso, graffite, un grigio che ricorda la pelle d’elefante e un voluttuoso marrone-tartufo. In sala le signore commentavano: «Uscirei con qualsiasi uomo vestito così».
Davanti alla collezione Ferrè disegnata da Tommaso Aquilano e Roberto Rimondi molti dicevano: «Un compito ben fatto ma in cerca d’identità». Non basta lavorare con senso delle proporzioni sulle forme architettoniche di cerchi e rettangoli visto che questo non è tanto quel che identifica da sempre lo stile Ferrè, quanto ciò che tutti i giovani designer stanno facendo da molte stagioni. Del resto questa sfilata segna l’esordio nella moda maschile del talentuoso duo che sull’immagine femminile ha già saputo dare un’impronta di tutto rispetto. Sono proprio le impronte proiettate sulla passerella di Emporio Armani nel quadro finale a ricordare che l’esperienza lascia tracce indelebili soprattutto quando si tratta di vestire gli uomini. Lo stilista-imprenditore stavolta propone l’uso del verde come colore-simbolo della natura in cui recuperare un po’ di qualità alla vita. Ma la vera novità sta nella linea di certe giacche che davanti finiscono a mantella e in quella dei pantaloni stretti sulla gamba, irrinunciabili per tutti l’inverno prossimo ma convincenti solo nella versione di Armani.

Quelli che Massimiliano Giornetti ha proposto sulla passerella di Ferragamo erano infatti improbabili per il tipo di uomo cui si rivolge la lussuosa griffe. Mentre quelli di Frankie Morello erano del tutto funzionali allo stile del brand, ma siamo proprio sicuri che in giro ci sia voglia di divertirsi con la moda?

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