S ono i gesti degli altri che danno la grandezza di un campione. Pelé che prima del via consegna a Schumi una coppa d’oro «perché noi siamo i più grandi»; Mika Hakkinen, rivale di tante battaglie e anche batoste e umiliazioni subite, che attraversa l’oceano pur di venirgli a rendere il dovuto omaggio. Ancora qualche istante prima del via, il campione finlandese è accanto alla Ferrari del tedesco. Eppure è un uomo immagine Mercedes. E poi la Bmw che schiera le proprie monoposto con un alettone dedicato a Schumi, «danke Michael». E ancora e soprattutto Felipe Massa che alza il piede mentre guida la corsa, mentre vola verso la vittoria del Gran premio di casa, fatto che non accadeva da 13 anni, l’ultimo fu Senna e non un pinco palla qualsiasi, eppure il ragazzo, nel bel mezzo di tale impresa, trova il tempo di rallentare, di alzare il piede pur di non arrivare a doppiare il compagno e maestro e ormai amico per sempre. Non il rispetto per ordine di scuderia, bensì il rispetto per moto dell’animo, per feeling, per vicinanza. Per stima. In quel momento Michael era nelle retrovie e che non sia mai, non esiste di rovinargli l’ultima gara con un doppiaggio. Un gesto di affetto a trecento all’ora che trova pochi precedenti nella storia a trecento all’ora.
Ma su tutto è il gesto dei meccanici di Schumi che dà l’esatta misura della grandezza di questo campione; certamente poco amato dal pubblico per quella sua istintiva riservatezza e voglia di privacy, ma tanto rispettato. I meccanici non mentono, non cercano ribalta, non hanno sponsor e strategie. I meccanici sono veri come è vero quello striscione preparato e regalato in segreto al grande campione. C’è la foto di un pit stop, ci sono i ritratti di tutti i suoi uomini alla macchina, ci sono le firme con dedica, finalmente autografi per lui e non da lui per gli altri. E, su tutto, c’è quella grande scritta: «Michael, uno di noi».
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