Sting produttore con la moglie Trudie: «Solo un hobby, io vivo per la musica»

Pedro Armocida

da Venezia

«Una guida per riconoscere i tuoi santi». Questa la traduzione del bel titolo del film, A guide to recognizing your saints, scritto e diretto dall’esordiente Dito Montiel e tratto dal suo omonimo e autobiografico libro che racconta i fantasmi dell’estate del 1986, quando, poco più che adolescente, scorrazzava per le calde strade nella difficile zona dei Queens con gli amici Antonio, Giuseppe e Nerf. Giorni segnati dagli affetti mancati con il padre e con la fidanzata, dalla rivalità con una banda di ragazzi e da un destino cinico e baro che porta Dito e i suoi amici incontro a tutta una serie di drammatici eventi. Il film è raccontato in flashback dal protagonista, interpretato da Robert Downey jr, e ricorda da vicino Bronx, l’esordio alla regia di Robert De Niro ambientato però negli anni Sessanta, tratto da un atto unico dell’attore Chazz Palminteri che curiosamente, quasi a siglare la verità della storia di Montiel, non ha rinunciato ad essere presente anche in questo film nella parte del padre del regista. E a far sì che le vicende di A guide to recognizing your saints non rimanessero solo delle frasi impresse su di un libro ma animassero un film, ci ha pensato lo stesso Robert Downey jr che ha convinto l’amica produttrice Trudie Styler, nonché suo marito Sting, a portarlo sul grande schermo.
La coppia, felicemente unita da venticinque anni («il nostro segreto - dice romanticamente il cantante inglese - è che lei mi piace tantissimo e anche quando siamo lontani per lavoro siamo uniti nella mente»), è giunta ieri al Lido per accompagnare l’esordio di Montiel. E neanche uno sgradevole incidente, fortunatamente senza conseguenze, occorso a Trudie Styler letteralmente rotolata a terra dalle scale del Casinò, ha potuto rovinare una giornata segnata dall’ottima accoglienza del film presentato nella Settimana della critica, la sezione collaterale ma autonoma della Mostra dedicata alle opere prime. Un successo, ottenuto anche allo scorso Sundance con il premio per la migliore regia, che Sting, per la prima volta nel ruolo del produttore, spiega così: «È la storia di un’emozionante relazione tra padre e figlio, si parla di un addio con il protagonista che fugge in California abbandonando il suo passato, il posto da dove viene, i genitori, i vecchi amici, la cultura che ha ricevuto, per diventare quello che è. E poi fa il difficilissimo viaggio al contrario. Come farà a guardarli in faccia? Lo giudicheranno, lui giudicherà loro?».

Sting, che per gran parte dell'anno vive nella sua casa in Toscana, ha appena terminato di incidere un nuovo e peculiare album (Songs from the labyrinth in uscita il 6 ottobre, quattro giorni dopo il suo cinquantacinquesimo compleanno) che non conterrà alcuna sua composizione ma le ballate scritte dal compatriota John Dowland alla fine del Cinquecento. «In realtà - dice - è la musica la mia vita, la mia passione. Quanto al cinema ho fatto l’attore e ora il produttore solo per hobby, un modo per essere vicino alla mia Trudie di cui mi fido ciecamente».

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