Stipendi, la casta dei banchieri Usa vince ancora

È bastato un mese di bel tempo (borsistico) per far tornare tutto come prima. Soprattutto a Wall Street, avvilendo chi si era illuso che da questa crisi potesse nascere se non un mondo migliore, perlomeno un capitalismo di nuovo giusto e responsabile. La casta dei banchieri sta vincendo di nuovo. E alla grande. Mentre il mondo continua a lottare contro la crisi economica e migliaia di persone perdono il posto di lavoro, i membri dell’oligarchia finanziaria statunitense vedono profilarsi un 2009 di guadagni strepitosi, pari o addirittura superiore al 2007, l’anno dei record.
E non è solo un’impressione, parlano le cifre. Nei primi tre mesi dell’anno le sei principali banche americane hanno accantonato la bellezza di 36 miliardi di dollari sotto la voce bonus e stipendi. Sono gli stessi istituti che a febbraio sembravano moribondi e che hanno ricevuto dallo Stato aiuti miliardari; poi, però, è successo qualcosa. Il G20? Non proprio. O meglio: mentre l’attenzione del mondo era focalizzata sul drammatico summit londinese, a Washington l’Amministrazione Obama ne ha approfittato per cambiare le regole contabili, modificando il mark-to-market, che obbligava le banche a contabilizzare ogni giorno i debiti a valore di mercato; e siccome quelli tossici valevano zero gli istituti erano costretti a riportare perdite gigantesche.
Secondo la nuova norma, invece, sono loro stessi a decidere il valore di questi titoli. Ad esempio: se l’istituto X ha un debito tossico che a valore di mercato vale 1, può stabilire autonomamente che valga 5 o 6 perché questo è il valore ipotizzato fra uno o due anni. Di certo le trimestrali di bilancio non rispecchiano il valore reale delle banche, che però, così, possono vantare utili insperati e addirittura permettersi di restituire in tutto o in parte le sovvenzioni ricevute, sottraendosi pertanto al tetto ai bonus imposto dal governo per le aziende salvate dallo Stato.
Chi lavora nel dipartimento trading e investimenti bancari di JPMorgan Chase assapora già, per l’anno in corso, un reddito medio pro capite di 509mila dollari, mentre nell’ultima annata senza eccessi, il 2006, era stato di 345mila dollari. La Goldman Sachs ha già messo a bilancio 4,7 miliardi per i propri dipendenti, pari a 569mila dollari a testa, praticamente la stessa cifra dell’indimenticabile 2007. Persino i pochi istituti ancora in rosso sono riusciti ad aumentare gli stipendi, come Morgan Stanley, che ha chiuso il trimestre con una perdita di 578 milioni di dollari, ma ha già contabilizzato stipendi per 2 miliardi. Come dire: per ogni dollaro di perdita procurata alla società, i suoi salariati ne ottengono quattro, per meriti evidenti. Niente male. La logica è sempre la stessa e con beneficiari ultimi i soliti noti.
Le banche si difendono evidenziando come, per far fronte alla crisi, siano state costrette a ridurre gli organici. Ma a ricevere lettere di licenziamento sono stati soprattutto i quadri inferiori: piccoli dirigenti, impiegati, segretarie. E quando si è trattato di assumere, gli istituti hanno optato per l’outsourcing, anziché privilegiare il mercato del lavoro nazionale.

Bank of America ha ingaggiato 15mila persone in India, Bank of New York Mellon 1300, sempre in India, Citigroup 1000 nelle Filippine. Così, tanto per ringraziare il contribuente. E Obama? Tace. Anzi, si prodiga per rafforzare l’impressione di una rinascita del sistema finanziario, mentre la sua promessa di cambiamento appare sempre più retorica.

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