STOCKHAUSEN La musica dal rumore

Le note per lui non avevano confini. Grande innovatore, controverso sperimentatore di suoni fino alla morte, che lo ha colto a Kuerten, nella sua Germania, a 79 anni. Karlheinz Stockhausen per mezzo secolo ha dato spallate - spesso temerarie - alle regole armoniche, melodiche, ritmiche, tonali che reggono la musica. «È stato un compositore particolare - puntualizza il sovrintendente della Scala Stephane Lissner sorpreso dalla notizia durante il Tristano e Isotta - aveva un percorso tutto suo e l’incredibile capacità di usare la musica in tutte le sue forme. È una delle figure musicali più importanti del ’900, la sua opera ha influenzato le nuove generazioni».
Un inventore di suoni, un kamikaze che ha vissuto per dimostrare che la musica non è solo suono, ma tutto ciò - gradevole o sgradevole non importa - che sia percettibile dall’orecchio umano. «Molte performance - ha dichiarato - sono nate dai miei sogni e spesso ho concepito lavori completi durante il sonno, quando sogno sento davvero la musica».
Il suo percorso parte nei primi anni ’50 a Darmstadt (ai corsi di musica contemporanea frequentati da Boulez, Nono, Berio Ligeti, Zimmermann) e non aveva intenzione di interrompersi. Il 16 settembre 2008 a Bologna progettava, per festeggiare il suo ottantesimo compleanno, di eseguire la nuova versione di Tierkreis, dedicata ai segni zodiacali e al loro equivalente umano. Stockhausen era molto amato in Italia; lo scorso 7 maggio a Roma presentò in prima assoluta due lavori elettronici arditi come Mittwochs-Gruss e Cosmic Pulse. «Non ho mai osato una produzione così rischiosa - ha commentato -; la cosa inedita è il nuovo tipo di spazializzazione. Cerco di sincronizzare 24 livelli di suoni ciascuno con un suo movimento spaziale, il che significa che ho dovuto comporre 241 traiettorie spaziali differenti. Per la prima volta ho provato a sovrapporre 24 stratificazioni sonore come se dovessi comporre le orbite di 24 lune e 24 pianeti». Un percorso che lancia il guanto di sfida non solo alle leggi della tonalità ma anche a quelle dell’estetica e delle sue categorie, anticipando le nuove tendenze per approdare persino alla «musica aleatoria».
Allievo di Messiaen (ispirato soprattutto dalla sua Mode de valeur et d’intensités) e Milhaud, estremizza la ricerca di Anton Webern alla caccia di nuove forme espressive. «Il mio lavoro consiste nello scrivere a tavolino o studiare musica elettronica per produrre nuovi suoni», amava dire. Nel 2001 fu accusato di aver definito l’attentato alle Torri Gemelle «un’opera d’arte», ma lui chiarì: «Volevo dire che Lucifero esiste, e il suo capolavoro diabolico purtroppo s’è compiuto l’11 settembre».
Le sue oltre 300 opere - da Electronic Studies e Canto dell’adolescenza a Gruppen per tre orchestre, da Studio 1 del ’53 (il primo brano di musica elettronica mai scritto) a Pezzo per piano IX dove usa la suddivisione matematica di Fibonacci, da Musica variabile e Musica spaziale a Helicopter Streichquartett eseguita dai violinisti dello Stadler Quartett nel cielo di Salisburgo a bordo di quattro elicotteri fino a La luce, ciclo di sette opere dedicato ai giorni della settimana in cui ai suoni si affiancano i profumi - segnano una genialità ribelle e beffarda nel viaggiare sulle strade impervie di una musica che oscilla tra «raffinate relazioni e fini vibrazioni» e al tempo stesso pone le basi del rumorismo.
«Tutti i rumori - diceva - sono musica di oggi, della nostra era determinata dal rapporto spazio-tempo in cui il movimento, la direzione, la velocità dei suoni divengono gli elementi calcolati di una composizione. L’obiettivo è resuscitare l’arsenale tradizionale dei suoni e rinnovarlo con tutti i mezzi, come è successo in ogni periodo storico precedente». Musica di rottura? Trasgressiva? Beffarda? Geniale? Intellettuale? Noiosa? Anarchica? Incomprensibile? Un po’ di tutto questo insieme; musica che ha contribuito alla libertà espressiva (che poi alcuni abbiano utilizzato gli insegnamenti del maestro per opere indegne che nulla hanno a che fare con l’arte è un’altra storia) e i cui seguaci spaziano dagli artisti classici al rock e al jazz di Frank Zappa ed Anthony Braxton fino ai Beatles, che lo hanno messo (insieme a personaggi come Wilde, Dylan, Jung) sulla copertina dell’icona Sgt.

Pepper. Ma lui si schermiva ed è bello ricordarlo con queste parole: «I grandi classici? non ho mai fatto nessuna vera rottura, ma solo prodotto 300 nuovi lavori senza mai mancare di rispetto a ciò che mi ha preceduto».

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