Stone e Modine, gara a chi è più radical chic (e tuttologo)

Taormina Moralismo di massa in salsa siculo-americana. Ci volevano Oliver Stone e Matthew Modine, ieri, il giorno dopo il referendum che ha eccitato gli animi leftist, per un paio di lezioni di Storia, tra una calatina a mare e un cartoccio di pesce d’alto livello per Vip Usa. Occhi puntati sul regista newyorchese di Platoon, JFK, Wall Street. Il denaro non dorme mai", venuto sull’isola allo scopo di promuovere il suo flop planetario, Alexander (2004), interminabile film epico su Alessandro Magno che, biondo e gay (era il povero Colin Farrell) fece infuriare pubblico e storici. Ora che Alexander Revisited: The Final Unrated Cut verrà trasmesso da Mediaset Premium (dal 25 giugno si accede alla versione tagliata, ma sempre di 214 lunghi minuti), sarà possibile farsene un’idea più precisa. A Stone l’insuccesso di Alexander ha dato alla testa e ancor oggi ne parla con furiosa ossessione. Al punto da trovare pessima la proiezione del suo «taglio finale» al Teatro Antico. «Vederlo all’aperto? Mi pareva d’essere al drive-in», ha detto in conferenza stampa, contraddicendo - con fare da yankee - la direttrice del festival, Deborah Young, in cerca d’un legame tra i 2300 anni dello storico teatro e il suo kolossal sull'antichità. «Continuerò a lavorare sul personaggio di Alessandro», minaccia lui davanti alla platea junior, assetata delle sue opinioni.
Il fatto è che Oliver ne ha una su tutto e Dio solo sa quanto ne abbia bisogno il Mediterraneo massacrato, a detta di lui, dalla Cia e dalla politica americana in generale. «Girare film politici è dura, in America: è materia che genera confusione. Nasco come drammaturgo e cerco di fare intrattenimento: per girare un buon film politico, ci vorrebbe Hitchcock con un po’ di Marx in mezzo», scalda i cuori questo miliardario, che varca l’Oceano e chiede, ai ragazzini, se hanno votato per il referendum. Bel colpo per un festival a forte vocazione mediterranea (oggi toccherà a Tarak Ben Ammar dire la sua sulle politiche di area), ospitare uno che spara su questa bacinella della Cia. «Perché non dividere anche l’Italia, come la Germania? Con un Nord, organizzatissimo e un Sud, tipo il Kossovo», suggerisce il ragazzaccio, che prepara Savagies (Selvaggi), film sullo scontro tra cartelli della droga, tra Messico e California del Sud. E di marijuana («Grass», «erba», sibila lui dalle labbra spesse) Stone se ne intende. «La migliore erba è californiana: si cerca di legalizzarla, per usi medici. È questione di alchimia: coltivare in casa certi semi, dà risultati eccezionali. Come la costosa “Original Gangsters L.A.”. È come per il business del vino: la qualità più fina è in Italia: a furia di imitarla, i californiani producono uve di qualità». Meglio tornare alla Storia e all’altro erigendo film stoniano. Si tratta di Untold History of Usa, la «Storia non detta» dell’America e delle sue più segrete operazioni di intelligence. «Con le basi nucleari e la presenza Nato, l’Italia è stata delegittimata», spiega il regista, che racconterà oltre 100 anni di vicende, fino ai tempi di Obama.
Se l’Italia è serva della Nato, Gesù era comunista, per il docufilm di Matthew Modine, Jesus was a commie.

«Gesù aveva buonsenso e sui comunisti c’è pregiudizio: a Berlino Est, ai tempi del Muro, e c’era troppa paranoia sulla malvagità della Russia. I soldati della DDR erano giovani e idealisti come mio fratello, combattente in Vietnam». Poi disserta sul «pericoloso Berlusconi» e sul diabolico intreccio di media e politica. Troppo sole, magari?

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