Stoner non si ferma più: domata la Ducati, tutto gli viene facile

La classifica non dice il vero. Casey Stoner, ieri, a Silverstone, non ha vinto il secondo Gp consecutivo e il quarto stagionale, bensì l’ottavo. Perché ogni trionfo del pilota Honda, quest’anno, vale doppio. Il suo è un vinci uno e prendi due talmente evidente da meritare di essere completamente sviscerato. Perché ad ogni sigillo del canguro corrisponde una prestazione sbiadita della sua ex moto e di Valentino Rossi che gli è succeduto sulla Rossa d’Italia. Per lui è doppia soddisfazione. A voler esagerare, ma attingendo comunque a considerazioni e analisi che un po’ qui e un po’ là nel motomondo circolano, ci sarebbero addirittura gli estremi per chiedergli scusa. Scusa per certi commenti e frecciate del 2009, quando il ragazzo si era preso diverse settimane di sabbatico motoristico attirandosi vistose critiche sul carattere forse non in grado di reggere certe pressioni. E così la passata stagione, quando aveva alternato gare da urlo a garette. Scuse, la buttiamo lì come una provocazione, adesso forse doverose perché il dubbio grande che insorge - visti i problemi Ducati di quest’anno e visto il tempo per adattarsi e capire e modificare la moto di cui ha bisogno persino il più grande di tutti, Valentino Rossi - è che la Ducati sia una moto talmente unica da imporre a chi la guida di arrivare a un limite spostato più in là degli altri. Un limite che non è più solo fisico, ma addirittura psico fisico.
Pensieri in libertà, ci mancherebbe, ma che spiegherebbero gli alti e bassi di Stoner degli anni passati e la relativa facilità con cui ora guida la Honda (al di là degli indubbi vantaggi che offre il super cambio giapponese che elimina i tempi morti). Pensieri che spiegherebbero anche, su una pista completamente nuova per lui come Silverstone, i quasi 4’’ rimediati in qualifica da Rossi e la gara attenta ma grigia di ieri. Soprattutto, pensieri in libertà che spiegherebbero la frase di sabato che detta da qualsiasi sportivo farebbe effetto e detta da Valentino addirittura paura: «Sono disperato».
Per cui, sì, sorry Casey per aver pensato che fossi un gran talento altalenante. Avremmo dovuto intuirlo prima tanto più che l’ex team manager Ducati, Livio Suppo, emigrato in Honda, ti aveva subito fortissimamente voluto. Sorry a te e bravo bene e bis ad Andrea Dovizioso che con il secondo posto ha tenuto alta l’Italmoto nel giorno dell’ennesima illusione firmata Simoncelli (caduto quando si stava giocando il terzo posto proprio contro di lui) e di un Dottore tre volte guardingo perché la moto era difficile da guidare, pioveva e di mattina era persino finito a terra.

Guardingo eppure intelligentemente sesto al termine di una gara a eliminazione, guardingo eppure schietto come sempre: «Sono contento del risultato - dirà -, è positivo, ho limitato i danni e in più sono quarto in campionato e non troppo lontano dai primi (68 punti, in pratica 2 Gp dietro a Stoner 116, ndr)... Ma c’è molto da lavorare... La nostra moto non è veloce come Honda e Yamaha, però qui Hayden mi è arrivato davanti. Vuol dire che io e i miei uomini non abbiamo lavorato bene».

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