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Stop all’abbonamento con una raccomandata e 5,16 euro

Come aderire alla nostra battaglia. La domanda con ricevuta di ritorno va inviata all’Agenzia delle entrate di Torino

Stop all’abbonamento con una raccomandata e 5,16 euro

Basta col canone Rai? Si può fare e costa pure poco: appena 5,16 euro. Ma non chiamiamola evasione fiscale, altrimenti si arrabbia anche l’ex pm Antonio Di Pietro che l’altro giorno l’ha detto: «Non pago più, disdico e guardo solo Sky». È piuttosto «disubbidienza» con la u, come la definì nel 1981 l’allora leader radicale Francesco Rutelli.
La disdetta
Basta una raccomandata con ricevuta di ritorno intestata all’Agenzia delle Entrate, Ufficio Torino 1 - Sat sportello abbonamenti tv Casella postale 22, 10121 Torino. Il sottoscritto eccetera, residente in via eccetera «chiede la cessazione del canone tv e di far suggellare il televisore detenuto presso la propria abitazione», facendo presente che non si possiede «nessun altro apparecchio atto e adattabile alla ricezione delle radioaudizioni». Perché se tecnicamente è vero che computer, Playstation portatili o i telefonini di ultima generazione di fatto possono ricevere il segnale tv, il ministero delle Comunicazioni (interpellato dall’Agenzia delle Entrate dopo un ricorso dell’Aduc - consultabile sul sito www.aduc.it) non ha ancora sciolto ufficialmente le sue riserve. Alla richiesta bisogna aggiungere una tassa da 5,16 euro per la disdetta, sulla quale indicare il numero dell’abbonamento, e soprattutto bisogna aggiungere questo passaggio: «Dichiaro altresì di non essere più in possesso del libretto di abbonamento e chiedo a norma degli art. 2 e 8 della legge 241/90 quale procedimento amministrativo intende seguire l’Urar tv ai fini del completamento di quanto disposto dall’art. 10 del Regio Decreto n° 246 del 21 febbraio 1938».
Che cosa si rischia
Che cosa può succedere dopo questa lettera? Tutto o niente. Leonardo Facco, autore dell’Elogio dell’evasore fiscale (Aliberti editore), che la lettera l’ha mandata nel 1992 sorride: «Non lo pago da allora. Ho ricevuto un paio di visitine di qualche giovanotto inesperto, poi niente più». I casi più eclatanti sono due: nel 1996 un signore di Verderio Superiore, E.V., si vide pignorare alcuni beni dalla società di riscossione Rileno per conto della Rai dopo un’ingiunzione della Urar. Negli stessi anni l’allora parlamentare leghista Gipo Farassino mise provocatoriamente all’asta la sua chitarra Ovation (valore sei milioni) per pagare dieci anni di interessi su «una tassa anticostituzionale». Fine.
Le ispezioni
Dal ’94 chi compra una tv non è più tenuto a dare le generalità per incrociare possesso e tassa. E quando nel ’95 si scoprì che la Rai chiedeva comunque l’elenco di chi comprava una tv in cambio di un bonus da 70mila lire (in caso di nuovo canone) scattò l’esposto del Codacons all’Authority per la Privacy. I controlli sono spesso a campione, su dati inaffidabili. Negli anni Ottanta la Rai chiese il canone a un bambino di 9 anni di Gela. Sempre il Codacons denunciò il caso di una cittadina che, pur non possedendo alcun apparecchio radiotelevisivo, aveva ricevuto una lettera nella quale gli veniva chiesto di pagare il canone tv perché così risultava da un fantomatico «censimento». Tutto falso, spese rimborsate e Rai con le pive nel sacco. Negli anni Novanta la palma del comune «decanonizzato» andò a Casapesenna, un comune del Casertano dove solo l’1,66% dei 7mila abitanti era in regola. Sanzioni? Non pervenute.
I precedenti
L’invito alla «disubbidienza fiscale» ha precedenti illustri. Oltre a Rutelli e Di Pietro si ricorda la Lega Nord, Paolo Cento nel 2002, persino l’Associazione italiana Sordi, Adriana Poli Bortone e Maurizio Gasparri ai tempi dell’Msi e Mino Martinazzoli nel ’93 dopo un servizio del Tg3 sulla Dc. Giuliano Ferrara bruciò in diretta tv l’abbonamento Rai, il presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, strappò il canone dopo un film prodotto dalla Rai su Rebibbia con Valerio Fioravanti. E il referendum radicale che ne chiedeva l’abolizione non venne neppure ammesso. Ma il vero genio resta l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco. Nel ’97 voleva «accorpare» bollo auto e canone. Qualche anno dopo stabilì che il mancato pagamento del canone dovesse essere a carico agli eredi se «l’evasore» era morto. Cose dell’altro mondo.
felice.

manti@ilgiornale.it

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