Milano - Nell’inverno a cavallo tra 2005 e 2006 scoppiò l’«emergenza gas»: il freddo aveva fatto crescere i consumi per il riscaldamento e le scorte non bastavano. Non solo, ma la scelta di fare centrali a gas per produrre elettricità aveva fatto salire ancora di più la domanda. Andò a finire che per consumare meno gas un certo numero di centrali elettriche fu fatto funzionare ad olio combustibile, con un forte aumento di costi. Da allora le cose non sono cambiate, e quel poco che sono cambiate, lo sono in peggio: sono entrate in funzione nuove centrali, ma i gasdotti per importare il metano sono rimasti quelli di due anni fa. Come sono rimasti immutati i depositi sotterranei di stoccaggio. Anzi, sono diminuiti, perché la Stogit, la società dell’Eni che gestisce gli stoccaggi, si è vista chiedere una nuova Valutazione di impatto ambientale (Via) per immettere più gas nel deposito di Settala. Attenzione: sono già alcuni inverni che l’Eni immette più gas, e nessuno ha mai detto niente, né è capitato niente. Quest’anno il ministero dell’Ambiente ha deciso che ci vuole la Via. Risultato: visto e considerato che la valutazione richiede tempo, quest’inverno mancheranno 500 milioni di metri cubi di gas di riserva. A luglio, come anticipato dal Giornale, anche l’Autorità per l’energia aveva lanciato l’allarme. Inascoltata. Così, come ha detto l’ad dell’Enel, Fulvio Conti, il prossimo inverno rischia di essere peggio di quello del 2005-2006. Tutto qui? No. Mancheranno i rigassificatori che dovevano essere sbloccati, ma che non lo sono stati. Ci sono una decina di richieste, il governo ha detto che ce ne vorrebbero almeno sette. Se tutto andrà come previsto solo nel prossimo inverno entrerà in funzione quello di Rovigo, gestito da Edison, ExxonMobil e Qatar: otto miliardi di metri cubi in più che ci metteranno al sicuro da crisi per due anni. Poi si rischierà di andare di nuovo in crisi perché i consumi continuano a salire. Anche se va detto che presto sarà potenziato il gasdotto dall’Algeria e che dal 2011 entrerà in funzione il Galsi, il «tubo» che collegherà l’Italia con Russia e Mar Caspio attraverso Grecia e Turchia: e saranno altri otto miliardi di metri cubi in più all’anno.
E allora i modi di far fronte alla questione sono semplici: fare finalmente i rigassificatori (che ci permetteranno anche di non essere sempre legati a pochi fornitori) e dare il via libera alle centrali a carbone. Conti, nei giorni scorsi ha detto che si va verso il carbone pulito ad emissioni zero: obiettivo non immediato, ma neanche troppo lontano.
Se le due centrali Enel di Torrevaldaliga e di Porto Tolle fossero realizzate sarebbe un passo avanti verso la diversificazione delle fonti energetiche (oggi il 60% dell’elettricità prodotta in Italia viene da centrali a gas): Torrevaldaliga trova sempre più intoppi nella sua costruzione, per Porto Tolle si sta litigando.
Restano due altre alternative: il nucleare e le energie rinnovabili. Per le centrali nucleari c’è un revival (ne hanno parlato anche lunedì il premier francese Nicolas Sarkozy e quello tedesco Angela Merkel), ma in Italia l’opinione pubblica è massicciamente contraria. Quanto alle rinnovabili, tutti ne parlano, ma di fatto nessuno le vuole. Basta vedere le difficoltà che incontrano le centrali eoliche. Tanto peggio quelle idroelettriche. Resta il solare fotovoltaico: secondo le previsioni, se tutto va bene coprirà l’1% del fabbisogno entro il 2020.