Storace lascia An: è di centro. Fini: motivazioni inconsistenti

Il leader: umanamente dispiaciuto ma le ragioni addotte non hanno sostanza. La controreplica: superbia

Storace lascia  An: è di centro. Fini: motivazioni inconsistenti

Roma - Era il 25 ottobre dello scorso anno quando il senatore ds Salvatore Adduce subentrò al dimissionario Filippo Bubbico regalando a Francesco Storace l’ennesimo argomento polemico contro Gianfranco Fini. «Finalmente - ebbe a dire l’ex ministro della Sanità - potrò salutare Adduce senza che Fini s’incazzi...». Una battuta, certo. Che già nove mesi fa dava però la misura di quanto fossero ormai lontani i tempi del Movimento sociale e delle lunghe serate insieme al Secolo d’Italia. Ieri la rottura con An e con il suo leader si è finalmente consumata, annunciata dallo stesso Storace dalle colonne del suo sito Internet. E senza perdere il buon umore di quel pomeriggio d’ottobre quando il Senato votò la proclamazione di Adduce, se pure ieri non ha perso l’occasione per una delle sue battute: «me ne vado» perché Fini e An «sono passati dalla Repubblica di Salò alla repubblica dei salotti...».

Dimissioni, quelle di Storace, arrivate con tre giorni di ritardo rispetto all’ultimatum di fine giugno, data ultima - aveva detto - per ottenere il congresso. Così, lunedì ha deciso di prendere carta e penna per scrivere al «carissimo Daniele», il presidente del circolo di An della Balduina a cui era iscritto. A lui ha annunciato le dimissioni, perché Alleanza nazionale «non rappresenta più la destra» e Fini vuole trasformarla «in un partito di centro». Parole rimbalzate ieri mattina sul suo sito Internet, a cui segue l’immediata replica dell’ex ministro degli Esteri con poche, gelide righe. «Sono umanamente dispiaciuto - dice Fini - ma trovo le motivazioni politiche addotte da Storace inconsistenti». «Vabbé, se è contento lui...», chiosa polemico Storace accusandolo di «superficialità» e «superbia».

Una rottura assolutamente annunciata, dunque. Tanto che sono mesi che l’ex governatore del Lazio lavora alla sua nuova aggregazione politica. C’è il nome (La Destra), c’è il simbolo (la fiaccola nel pugno) e c’è una data. «Entro ottobre - annuncia infatti il senatore - daremo vita a una costituente della destra con chi ci sta». Dovrebbe starci Luca Romagnoli e la sua Fiamma tricolore, così come l’eurodeputato e bacino di voti siciliani Nello Musumeci. Difficilmente, invece, dirà di sì Alessandra Mussolini («non commento, oggi è la giornata del silenzio») a cui Storace porge comunque la mano («basta con questa guerra dei cent’anni»). Come pure è perplesso il leader di Forza Nuova Roberto Fiore («Storace non può rappresentare un’alternativa»). Chi poteva starci e almeno per il momento non ci starà è Daniela Santanchè. «La sua - spiega - è una scelta coerente, ma io continuo la mia battaglia all’interno del partito». E chissà che le sue parole non siano dovute anche al fatto che ieri mattina Fini, forse preoccupato dall’accelerazione di Storace, ha deciso di alzare il telefono e chiamarla, chiedendogli un faccia a faccia in cerca di un chiarimento. Quelli che fino a qualche tempo fa erano considerati gli storaciani, invece, lo seguiranno in pochi. Di certo, non Carmelo Briguglio che parla di «grosso errore politico». Escono da An, invece, il deputato Antonio Pezzella e due componenti dell’assemblea nazionale del partito, Costanza Afan de Rivera e Antonella Sambruni.

Per il resto, da An è un coro di «mi dispiace» e «ci ripensi», con la sola eccezione di Teodoro Buontempo che pur non seguendolo parla di «scelta che merita rispetto». Perplesso, invece, il capogruppo alla Camera Ignazio La Russa («non capisco le sue ragioni»), mentre il presidente dei senatori Altero Matteoli lo invita a tornare sui suoi passi. Lo stesso fa il presidente della commissione di Vigilanza Maria Landolfi perché «alla nostra destra non c’è nulla». È «un’avventura», chiosa il dirigente Amedeo Laboccetta, visto che «neanche Rauti è riuscito a coprire lo spazio a destra di An». Non commenta, invece, il vicepresidente della Camera Giorgia Meloni, anche se la scelta della fiaccola nel pugno come simbolo pare abbia causato molti malumori in Azione giovani che lo utilizza dai tempi del Fronte della gioventù.
Non apprezza l’addio, infine, donna Assunta Almirante. «Umanamente mi dispiace, Storace - dice - è un uomo di destra legatissimo a Giorgio Almirante e combatterà nel nome di Almirante. Ma ha sbagliato, le lotte si fanno all’interno dei partiti, non fuori».

Un giudizio duro, soprattutto considerati i buoni rapporti tra i due. Tanto che Storace decide di chiamarla e «raccontarle una storia lunga un anno». Perché, spiega, «la battaglia all’interno del partito io l’ho fatta».

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