Controcultura

"La storia dell'umanità si svela attraverso il prisma dei colori"

Il docente di Cambridge racconta lo sviluppo delle civiltà in base al ruolo di "sette tonalità"

"La storia dell'umanità si svela attraverso il prisma dei colori"

È possibile raccontare «Una storia culturale in sette tonalità»? Lo fa James Fox, professore di Storia dell'Arte a Cambridge, nel suo Il mondo dei colori (Bollati Boringhieri, pagg. 354, euro 28). Però - dice - osservare l'umanità e le civiltà attraverso il prisma di nero, bianco, rosso, giallo, verde, viola e blu «è stato veramente complicato: mi è costato otto anni di lavoro...».

Perché è così difficile?

«Credevo di poter raccontare direttamente i sette colori e la loro influenza nella storia, ma il colore è uno di quegli argomenti potenzialmente infiniti, perché riguarda a sua volta molti altri soggetti e discipline. È una storia culturale ma tocca tutto: arte, musica, filosofia, religione, biologia, geologia, chimica, fisica e scienza, dal Big Bang fino alle crisi politiche e ambientali che affrontiamo oggi».

Il colore è così importante nella storia?

«È fondamentale. È un aspetto cruciale del mondo e del paesaggio emozionale in cui viviamo e delle nostre attività culturali, fin da quando siamo apparsi su questo pianeta. Poiché abbiamo usato il colore in un modo così universale che riflette le nostre aspirazioni, preoccupazioni e priorità come società umana, esso ci dice qualcosa del nostro atteggiamento nei confronti della vita e della morte, di Dio e della religione, della guerra e della pace, della società, dei progressi scientifici».

Ma che cos'è il colore?

«È una entità complessa, con tante sfaccettature: una proprietà fisica, un processo all'interno del cervello, uno strumento usato dagli artisti, uno stratagemma per gli animali e le piante... Ma è soprattutto un linguaggio: un simbolo che usiamo da centinaia di migliaia di anni per comunicare. Ed è perfino più potente del linguaggio stesso».

Esiste un colore del potere, o del sesso?

«Da sempre i colori sono stati collegati a certe idee forti, e il rosso è stato usato per millenni come simbolo del potere: la forza, il sangue, e quindi relazioni di potere fondamentali e maschere e oggetti magici... Il rosso è anche associato al sesso e alle emozioni, a tutta l'esperienza umana: è il più umano dei colori, in questo senso».

Il colore per eccellenza?

«In molte culture, rosso è la parola per colore. È stato usato simbolicamente e in grandi quantità già in epoca primitiva, è presente nel 95 per cento delle pitture rupestri. Forse è il colore più importante per la cultura umana nel mondo».

Ci sono civiltà più legate al rosso?

«Quelle mesoamericane, dove era connesso al sole, al sangue, al divino e ai sacrifici; e la Cina, dove è sempre stato ritenuto il colore della felicità e della fortuna».

Chi ha creato queste connessioni?

«Soprattutto l'arte. Prima che le tinte fossero accessibili attraverso l'industrializzazione e la produzione chimica di massa, erano fatte dagli artisti: Maria Vergine in blu, i santi con l'aureola dorata, le moschee islamiche in verde...».

Perché il nero è la pecora nera dei colori?

«A lungo non è stato considerato nemmeno un colore. È stato denigrato e attaccato universalmente, eppure è bellissimo, ricco e generoso... Negli ultimi 150 anni però si è capito che è un colore utile ed elegante, tanto da diventare dominante nella moda e nel design. Forse visivamente è il più grandioso dei colori».

C'è un colore per ogni civiltà?

«Non credo si possa legare un singolo colore a una civiltà. Però se penso all'antica Roma penso al viola, l'India rimanda al giallo e all'arancio, la Cina al rosso, il mondo islamico al verde, il colore del Paradiso nel Corano, il cattolicesimo al blu e l'Italia, in particolare, al blu oltremare, che raggiunse l'apice con gli artisti italiani di fine Medioevo, Rinascimento e Barocco».

Il giallo è il colore del divino o dell'umiliazione?

«Ha connotazioni contraddittorie: in India e in Cina è legato all'oro, alla divinità e al Sole, al sacro e all'ascetismo, ai fiori e allo zafferano; ma in Occidente e in Medio Oriente è associato anche a cose spiacevoli, l'urina, la bile, lo sporco, i rifiuti... Ed è stato usato per stigmatizzare certi gruppi all'interno della società: gli ebrei, le prostitute, gli eretici. Giotto dipinge di giallo i vestiti di Giuda».

Il blu è il colore più amato?

«Sì. I sondaggi dicono che è il colore preferito in tutti i Paesi. E lo merita: è bellissimo, ed è molto importante nella storia dell'arte. Anche se non esiste prima del Medioevo, perché non ci sono molte cose blu in natura: sono gli alchimisti italiani a creare il blu oltremare, un colore meraviglioso, che troviamo da Tiziano e Giovanni Bellini fino a Kandinskij e Yves Klein».

Il bianco è la nostra ossessione?

«Credo di sì: in Occidente il bianco non è un colore, è una ideologia, una aspirazione e governa l'ossessione religiosa per la purezza, oltre a quelle per l'igiene e la pulizia. Anche l'ossessione europea per il marmo, che è arrivato a simboleggiare la civiltà mediterranea, è legata a quella per la purezza».

Il viola, dice, è il colore della modernità, della scienza.

«La porpora, proveniente da Tiro, era adorata durante l'Impero romano, ma è nell'Ottocento che il pigmento viene trasformato dalla chimica moderna: Henry Perkin ottiene la porpora di anilina sinteticamente e dà il via alla produzione di massa di tinture viola. Dal 1850-60 il colore appare nei dipinti dei preraffaelliti in Inghilterra, degli impressionisti in Francia, dei post impressionisti e dei divisionisti in Francia e in Italia».

E il verde?

«È il colore della vita, e non è una esagerazione: quello della clorofilla, che consente alle piante di vivere e produrre ossigeno e nutrire il mondo... Infatti è connesso alla speranza e alla rigenerazione».

Il colore della nostra epoca?

«Forse è proprio il verde. È dal 10mila a.C. che leghiamo il verde alla natura e all'agricoltura, ma nessun altro colore si è trasformato così tanto in anni recenti: è il colore dell'ambiente e delle sue battaglie.

Un colore che non si può evitare».

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