da Parigi
Per François, cinquantenne francese di origine algerina, il «braccialetto elettronico» è stato una benedizione perché gli ha consentito di lasciare il carcere, dove soggiornava per furto. Adesso lavora in una carrozzeria e la sera torna a casa dai suoi bambini. Secondo il ministero francese della Giustizia - guidato dalla Guardasigilli Rachida Dati, 42 anni, la giurista di origine maghrebina, che ha essa stessa un fratello in prigione - lo scorso giugno erano esattamente 3.924 i «carcerati» in semilibertà grazie al braccialetto elettronico. Persone che conducono una vita relativamente normale, anche se i loro movimenti sono controllati (o comunque controllabili) ventiquattrore su ventiquattro. Claude dHarcourt, direttore dellamministrazione penitenziaria, giura che «il sistema del braccialetto elettronico è ormai efficace e sicuro». Il numero dei portatori di questo congegno in Francia è in rapido aumento: in dicembre erano 2.700 e oggi superano i quattromila. Persone che - se fossero dietro le sbarre - contribuirebbero a rendere ancora più affollate le già strapiene carceri transalpine: i posti sono 50.756, ma gli ospiti arrivano ormai a 64.250. Il 27 marzo una sentenza del Tribunale amministrativo di Rouen ha gelato il governo: lo Stato ha dovuto risarcire il detenuto Christian D., in prigione da quattro anni in questa città, perché le sue condizioni di carcerazione non erano conformi alle norme nazionali ed europee. Lavvocato Etienne Noël, legale di Christian D., si sta specializzando in azioni giudiziarie del genere. Il governo deve reagire. Eccolo scommettere sempre più sul «braccialetto elettronico», concepito soprattutto come strumento per lottare contro il sovraffollamento delle prigioni e per dare una chance di riabilitazione a chi deve scontare pene di breve durata.
La legge sul braccialetto elettronico è del 1997, ma le sperimentazioni sono cominciate nel 2000 e il boom delle scarcerazioni, condizionate a questo tipo di esperienza, è in corso oggi. François ha chiesto di portare il «braccialetto» alla caviglia piuttosto che al polso: è vero che assomiglia a un grosso orologio, ma il cinturino di sicurezza e la conformazione stessa di quelloggetto rischiano di essere un «marchio» sul corpo di chi lo porta. Meglio renderlo il meno appariscente possibile. Come ogni oggetto elettronico, anche i «braccialetti» hanno avuto unevoluzione nellultima dozzina danni. Allinizio erano collegati a un ricettore di segnali fisso, nel domicilio dellinteressato, mentre oggi possono consentire spostamenti nellambito geografico deciso dal magistrato di sorveglianza. Se gli spostamenti non sono conformi a quanto stabilito, scatta lallarme e linteressato rischia di tornare dietro le sbarre.
Dal punto di vista della polizia, i problemi fondamentali connessi col «braccialetto» (o «cavigliera») sono due: quello della reperibilità dellinteressato e quello della non rimuovibilità del congegno. Anche su questo terreno sono stati compiuti passi avanti per cui oggi si può ritenere - secondo gli esperti francesi - che linteressato non possa rimuovere il «braccialetto» e comunque non abbia interesse a provarci. Il braccialetto è in realtà un compromesso tra lo Stato e un individuo. Lo Stato ha due vantaggi enormi: limita il sovraffollamento delle carceri (col pericolo di rivolte) e riduce il rischio di «contaminazione» tra carcerati, sulla base del vecchio detto secondo cui le prigioni sono «luniversità del crimine». A sua volta gli oltre 4.000 francesi (o immigrati) a portare oggi il congegno della sorveglianza elettronica, hanno lovvio vantaggio di poter vivere a casa loro, di poter lavorare e guadagnare, ma hanno alcuni problemi concreti. Chi ha fatto lesperienza confida che bisogna comunque abituarsi a una sorta di «occhio del Grande fratello». È vero che non si tratta di una telecamera, ma linteressato ha comunque la sensazione di un dimezzamento della propria privacy.
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