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Storia del leader bizzarro che vieta la tinta ai capelli

Il presidente turkmeno come il satrapo Nyýazow obbliga i «sudditi» a piegarsi alle sue stravaganze

Storia del leader bizzarro che vieta la tinta ai capelli

Per diventare presidenti del Turkmenistan essere eccentrici non è obbligatorio, però aiuta. Piuttosto eccentrico era Saparmyrat Atayevich Nyýazow, primo segretario del Partito comunista ai tempi dell'Urss e diventato primo Presidente del Turkmenistan all'indomani dell'indipendenza, nel 1991. Uno, giusto per capire il soggetto, che una volta divenuto leader a vita aveva ribattezzato i giorni della settimana sostituendoli con quelli dei membri della sua famiglia, e si era fatto costruite una statua d'oro che ruotava seguendo il sole. Al culmine del suo governo ha imposto ai suoi 5 milioni di concittadini ma sarebbe meglio dire sudditi di leggere il Ruhnama, un migliaio di pagine scritte di suo pugno che tutti dovevano conoscere per ottenere un lavoro o passare gli esami scolastici. E sempre più eccentrico sta dimostrando di essere anche Gurbanguly Berdymuhammedov, succeduto nel 2006 al defunto Turkmenbashi, il padre di tutti i turkmeni, come si era autonominato il megalomane Nyýazow.

Forse per via del suo cognome impronunciabile e troppo lungo per entrare nei titoli dei giornali, Berdymukhammedov non riempie le cronache dei media stranieri. Eppure negli ultimi anni sta sempre più prendendo la piega dell'autocrate ex sovietico che interpreta il ruolo presidenziale come una satrapia di antico stampo, accrescendo il culto della sua personalità. L'ultima stranezza del leader turkmeno riguarda i capelli. I suoi e quelli di tutti i turkmeni di sesso maschile. Da diversi mesi il 62enne presidente ha preso a comparire in pubblico con i capelli grigi, di un grigio chiaro consono alla sua età. Nulla di particolare se non fosse che fino a quel momento in pubblico era sempre comparso con una folta chioma corvina, di un nero particolarmente intenso. Chi segue da vicino la politica di questo Paese come il sito indipendente Chronicles of Turkmenistan ricorda che nel 2006, al momento della sua ascesa al potere, Berdymuhammedov aveva visibilmente dei capelli bianchi. Fatto è che qualche settimana fa il presidente era annunciato in visita nel nord est del Paese, nella regione di Lebap, e per la prima volta tutti i dipendenti pubblici insegnanti, medici, impiegati sotto i 40 anni hanno ricevuto l'ordine perentorio di non presentarsi con i capelli tinti, pena l'esclusione dall'incontro. Pare che il presidente abbia espresso la preferenza di aver a che fare con persone «naturali» come lui. Ma il nuovo colore di capelli di Berdymukhammedov è un affare di stato non poco: il nuovo look infatti ha imposto un cambio repentino dei ritratti del presidente affissi obbligatoriamente in tutti gli uffici pubblici, in ogni classe e nelle tante gigantografie ubique in un Paese desertico.

Mentre non trova conferma la voce secondo cui il presidente, o qualche zelante burocrate, avrebbero proibito ai barbieri della capitale Asghbat di tingere i capelli agli uomini. Quella verso i capelli deve essere un'idiosincrasia: già due anni fa infatti aveva proibito a tutte le donne impiegate nella pubblica amministrazione di tingersi i capelli di biondo o qualsiasi altro colore non naturale, bandendo anche le unghie smaltate e le extensions. Per essere sicuro che il diktat venisse rispettato aveva proibito anche l'importazione di tutti questi prodotti di bellezza.

Prima dentista personale di Nyyazow, poi ministro della Salute e infine presidente lui stesso, Berdymukhammedov è al potere da 14 anni, e all'indomani della sua nomina aveva promesso un'apertura democratica. Da un po' di tempo si fa chiamare Arkadag che tradotto suona come il Protettore, e ormai sta prendendo una decisa deriva più dittatoriale. Rieletto nel 2017 con il 97% delle preferenze, sta affrontando la crisi economica che investe il Paese in modo sprezzante, dimenticandosi del popolo. Popolo che sta facendo sempre più l'abitudine a razionamenti dei beni di prima necessità, come in epoca sovietica.

E dire che il Turkmenistan è un gigante energetico a livello mondiale: le riserve di gas naturale sono stimate in 17mila miliardi di metri cubi, quarte al mondo. Del resto il gas è la materia prima che tiene in piedi il governo: da solo rappresenta il 35% del Pil e oltre il 90% delle esportazioni, che per la maggior parte raggiungono la Cina, oggi partner economico principale a discapito della Russia. Negli ultimi anni sta cercando di allargare i suoi rapporti commerciali, aprendo un Paese chiuso agli investimenti stranieri. A novembre è stato anche in Italia, per due giorni di incontri politici ed economici. Ma se in politica economica cerca di cambiare qualcosa, nulla cambia sul piano interno, dove continua la repressione di ogni forma di opposizione e tutto viene affidato all'imprevedibile, spesso irrazionale, decisione del leader supremo.

Come quando nella capitale è stata inaugurata una statua alta 21 metri che lo ritrae ovviamente a cavallo del fido stallone Akhal-Teke: si tratta di un blocco di roccia bianco sormontato da una statua equestre di sei metri realizzata interamente in bronzo e ricoperta di foglie d'oro 24 carati. La statua simbolicamente è stata costruita nel sito dove si trovava la grande statua dorata di Nyýazow, spostata in periferia.

Ed è stata finanziata dall'autotassazione dei dipendenti pubblici, che avrebbero deciso (liberamente, certo) di donare lo stipendio di un mese, circa 30 euro, per contribuire alla realizzazione.

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