di Angelo Allegri
Di tradizionale è rimasto il nome: taoiseach. In gaelico vuol dire capo, guida e in base alla Costituzione degli anni Trenta del secolo scorso taoiseach è la dizione ufficiale dell'incarico di primo ministro della Repubblica d'Irlanda. Un nome, appunto. Perché il «capo» in carica sembra aver poco a che fare con la storia di un Paese considerato fino a qualche tempo fa uno dei più conservatori d'Europa, più cattolico del Vaticano stesso, come si diceva con una punta d'ironia.
Dall'inizio dell'estate il premier dublinese è Leo Varadkar, un medico di 38 anni, gay dichiarato, figlio di un immigrato indiano arrivato da Mumbai. Varadkar, il più giovane primo ministro della storia del Paese, è stato scelto dal Fine Gael, il partito che guida la coalizione al governo, e ha sostituito Enda Kenny, che ha guidato la Repubblica in tutti gli anni turbolenti del dopo-crisi finanziaria. Kenny, 66 anni, era un esponente della vecchia guardia; Varadkar («Leo», come lo presenta, di solito senza cognome, la stampa), rappresenta la giovane generazione della politica, un volto nuovo paragonato spesso al francese Macron o al canadese Justin Trudeau.
La sua ascesa è un simbolo della rivoluzione sociale, culturale e politica vissuta dall'Irlanda repubblicana negli ultimi 20 anni. Il Paese è stato l'ultimo in Europa a legalizzare divorzio e aborto, a depenalizzare i rapporti omosessuali; negli anni Novanta, non secoli fa, un primo ministro fu costretto a dare in fretta e furia le dimissioni perché si scoprì che aveva lasciato la moglie e viveva con l'amante. Il potere della Chiesa era evidente e all'apparenza solidissimo. All'apparenza, perché è bastato l'effetto combinato di un paio di fattori per ridimensionarlo in maniera drastica. A pesare sono stati gli scandali, soprattutto i casi di pedofilia, che hanno coinvolto le gerarchie cattoliche. Il resto l'ha fatto il boom economico di quella che, prima della crisi delle banche, veniva chiamata «Tigre celtica». Con la ricchezza improvvisa la secolarizzazione ha iniziato a marciare a ritmi frenetici. Così nel 2015, quando il parlamento ha approvato le nozze gay, le proteste sono state meno clamorose di quanto ci si sarebbe potuto attendere. Anzi, proprio in quei giorni Varadkar è riuscito a intercettare a suo favore l'umore dell'opinione pubblica: nell'imminenza del via libera della legge, in un talk show televisivo, ha dichiarato la propria omosessualità. Il tono della confessione, sincero e senza ostentazione, è piaciuto e da allora la sua popolarità non ha fatto che aumentare. Quando nei mesi scorsi il Fine Gael (in italiano suona come «la Famiglia degli irlandesi») si è posto il problema di sostituire Enda Kenny, azzoppato da uno scandalo, in vista di elezioni che potrebbero svolgersi entro l'autunno del 2018, il figlio dell'immigrato hindu ha saputo mobilitare la maggioranza dei consensi all'interno del partito.
Per Varadkar la nomina è stata il culmine di un singolare percorso familiare e personale. Il padre è medico e ha conosciuto la madre, un'infermiera irlandese, in Inghilterra, dove entrambi lavoravano. I due si sono trasferiti in India per qualche anno, prima di stabilirsi definitivamente in Irlanda. Leo è stato cresciuto come cattolico (era un impegno preso dal padre al momento delle nozze) anche se l'interessato dichiara di essere «un praticante assai tiepido, vado a Messa a Natale». Laureato in medicina, a 28 anni era già stato eletto nel consiglio comunale di Dublino, poi, una volta approdato in Parlamento, è stato ministro dei Trasporti, della Sanità e della Difesa. Da qualche tempo ha una relazione ufficiale con un medico cardiologo, che attualmente lavora a Chicago. Il suo punto debole non è il fatto di essere gay, quanto la fama di gaudente «bon vivant» incline alle serate nei locali e a qualche eccentricità nell'abbigliamento. All'elettorato del Fine Gael (il partito, di centrodestra, è iscritto al Ppe), piace per l'attenzione ai valori conservatori e per la tendenza a parlare fuori dai denti. Qualche tempo fa suscitò molte polemiche perché disse che gli immigrati irregolari dovevano essere mandati a casa. Di fronte alle proteste di chi lo accusava di scarsa umanità specificò che si riferiva a rimpatri volontari e non a deportazioni forzate. Due mesi o poco più sulla poltrona di premier gli sono comunque bastati per far impennare i sondaggi a suo vantaggio. In giugno il Fine Gael era dato alla pari con gli arci-rivali del Fianna Fail (centrosinistra), i rilevamenti di pochi giorni fa lo danno in testa di otto punti.
Uno dei banchi di prova su cui si misurerà «l'indiano» Varadkar è il tema che in questo momento sta a cuore all'Europa intera: la Brexit. Come premier di una delle parti direttamente in causa sarà chiamato a intervenire in prima battuta su una delle questioni più spinose: il confine tra Contee protestanti dell'Irlanda del Nord ed Eire. Gli accordi del Venerdì Santo del 1998, che hanno posto fine alla guerra civile nell'Ulster, prevedono che «chiunque sia nato nell'Irlanda del Nord ha diritto di identificarsi e di essere accettato come irlandese, britannico o entrambe le cose, a seconda delle sue scelte». La dichiarazione, ispirata a un concetto di identità nazionale «liquida», è stata la premessa della pace e si basava sull'assenza di una frontiera fisica tra Irlanda del Nord e del Sud, resa possibile da Schengen e dall'Unione Europea. Con l'addio britannico alla Ue, i 500 chilometri del confine diventeranno l'unico punto di contatto terrestre tra entità ormai separate. L'assenza di ogni controllo sembra impensabile, ma allo stesso tempo la reintroduzione di dogane e barriere riaprirà vecchie ferite.
Secondo le linee guida elaborate dai negoziatori di Bruxelles «le soluzioni dovranno essere flessibili e creative». Per il momento nessuno ha ancora capito quali potranno essere. Anche Varadkar dovrà farsi venire in mente qualche idea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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