Controcultura

Storia vera d'un falso colpo di Stato

Storia vera d'un falso colpo di Stato

Il caso scoppiò il dieci maggio del 1967, quando le agenzie di stampa iniziarono a battere all'impazzata le notizie relative a un colpo di Stato, il piano Solo, che sarebbe stato ordito dal presidente della Repubblica, Antonio Segni, e dal comandante generale dei carabinieri, Giovanni de Lorenzo. La fonte? Un articolo dell'Espresso confezionato dalla magica coppia Scalfari-Jannuzzi. Il golpe in realtà sarebbe stato pensato a luglio di tre anni prima, in piena crisi di governo: l'ennesima.

«Assolutamente nulla di quanto è stato raccontato è vero» scrive oggi Mario Segni, il figlio di Antonio, nel libro "Il colpo di stato del 1964". Segni racconta della condanna per diffamazione ricevuta dai giornalisti, dei particolari assurdi della ricostruzione: come quella di un corazziere che avrebbe potuto ascoltare un presunto diverbio (comunque poi smentito da tutti) tra Saragat e Segni attraverso ben «quattro massicce porte» del quirinale. E poi la storia del generale De Lorenzo, nominato capo di Stato maggiore dell'esercito, due anni dopo il presunto golpe e proprio da coloro che, secondo le favole dell'Espresso, si furono opposti allo stesso. Ma come, prima avrebbero litigato con Segni e De Lorenzo, e poi nominano De Lorenzo, supercapo dell'esercito? C'è qualcosa che non regge.

Mario Segni racconta bene quegli anni, «in cui il centrosinistra nato per isolare il partito comunista, lo ha progressivamente avvicinato nell'area della maggioranza, tanto da renderne ad un certo punto inevitabile l'ingresso al governo». E di come suo padre fosse ostile a questo progetto, in un clima di crisi economica preoccupante. In questo senso per una certa stampa e una certa sinistra non era male appiccicare ad un antifascista doc come Segni, l'etichetta di golpista e amico dei fascisti.

Per tabulas si può dire che la storia del piano Solo sia una gigantesca balla giornalistica. La madre di tutte le fake news, scrive giustamente Segni. E l'apripista di un modo di fare giornalismo scandalistico, che ci siamo portati fino ai giorni nostri. In cui il nemico politico, viene prima «svergognato» sui giornali e poi discusso in parlamento. Certo oggi con l'aggravante di una magistratura che sa sempre come alimentare il pettegolezzo.

Un libro da leggere oggi, per capire i pregiudizi che ancora abbiamo su ieri, e per meglio interpretare le notizie che arriveranno domani.

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